Come parlare di religione ai giovani. Andrea Monda: “Bisogna ascoltarli, fare domande, sorprenderli”

Nel volume “Raccontare Dio oggi” (Città Nuova, Collana “Prismi/Segni” 2018, pp. 160, 16 euro) lo scrittore e saggista Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano, docente di religione laureato in Scienze Religiose alla Gregoriana e in Giurisprudenza alla Sapienza, spiega “Come parlare di religione ai giovani”, sottotitolo del testo. Dedicato “A mio figlio Dante e a tutti i suoi innumerevoli fratelli”, l’autore, nato nel 1966 a Roma, rileva che il professore di religione, IRC (Insegnante di Religione Cat­tolica), è un uomo chiamato, inviato, cioè: «È, di fatto, un apostolo, c’è una dimensione “apostolica” insita nella vita di ogni cristiano». Il professor Monda chiarisce il valore dell’insegnante di religione cattolica chiamato a “dire Dio”, ad annunciare il Vangelo alle giovani generazioni all’in­terno della scuola pubblica italiana, impresa quotidiana certamente non facile.

Professor Monda, per quale motivo il suo primo giorno d’insegnamento, avvenuto il 13 settembre del 2000, ha dato un imprinting a tutto il resto del­la Sua esperienza di professore di religione cattolica nelle classi medie superiori di Roma? 

«Quel 13 settembre di diciotto anni fa feci la mia prima lezione e mi sono trovato costretto a svolgerla in modo “narrativo”, cioè mi trovai con due soli studenti (gli altri di quella classe non si avvalevano dell’ora di religione), i quali mi rivelarono che stavano entrambi leggendo il romanzo di Tolkien “Il signore degli anelli”, un testo sul quale io avevo scritto la mia tesi di laurea in scienze religiose. Ne scaturì un periodo di alcuni mesi passati a leggere insieme con loro, ad alta voce in classe, questo capolavoro letterario. Fu bellissimo, a volte bastava mezza pagina per intavolare discussioni stimolanti, divertenti, “scomode”, profonde… e capii già da quel primo giorno che il taglio narrativo era il più idoneo per parlare di Dio alle nuove generazioni».

La religione è l’unica materia facoltativa nella scuola italiana, è alto o è in calo il numero degli studen­ti che frequentano? 

«È sia alto sia in calo. Il numero è ancora molto alto (verso il 90%) ma i segnali di un calo nelle grandi città del nord e nelle classi superiori non sono incoraggianti».

In questo mondo veloce, superficiale e privo di valori autentici, come fare a parlare di Dio alle giovani generazioni? 

«I giovani bisogna sorprenderli. Loro hanno delle idee precostituite sugli adulti e se la realtà poi si scontra con quelle idee, può nascere una sorpresa, che diventa risorsa preziosa per la nascita di una relazione educativa, perché l’educazione è innanzitutto una relazione, tra persone umane. Se dimentichiamo questa dimensione, non può esserci vera educazione. Un’idea che i ragazzi hanno è che gli adulti parlano ma non ascoltano, “pontificano” ma non si mettono in ascolto dei giovani. Allora una prima cosa da fare è smettere di parlare e cominciare ad ascoltarli. Questo li sorprenderà. Quindi più che dare risposte, serve fare domande, interrogarli e questo perché si è veramente curiosi di loro, del loro mondo. Se gli dimostriamo il nostro interesse, autentico, può accadere che anche loro si mostrino interessati, incuriositi da noi. L’effetto sorpresa si coniuga molto bene con la dimensione narrativa: se racconti una storia, che ti coinvolge in modo personale, catturi l’attenzione. È quello che fa Dio nella Bibbia: non pontifica dall’alto ma s’incarna e viene a conversare con gli uomini, raccontandogli delle storie, la Sua storia. La Bibbia è piena di storie, narrazioni, non prescrizioni».

Nel libro scrive che «oggi la cosa più diffici­le è la “manutenzione” delle relazioni». Desidera chiarire la Sua riflessione?

«Insegno religione dal 2000 e questa considerazione mi è venuta spontanea nel vedere da vicino, quotidianamente, per nove mesi l’anno, i miei 3-400 alunni adolescenti. Il principale problema, drammatico, che affligge le nuove generazioni è questa sfiducia nelle relazioni: l’amore, l’amicizia, la famiglia, sono percepite come relazioni fragili, come dei miraggi. Il mondo in cui vivono i giovani è un mondo “facile”, dove tutto è immediatamente disponibile, poi, però si scopre che le relazioni umane, che sono il sale, la linfa della vita, costano sacrifici, sono faticose, richiedono un impegno costante, un lavoro quotidiano di “manutenzione”. Se crolla fiducia nelle relazioni è l’intera vita che crolla. E questa crisi i giovani la vivono innanzitutto come riflesso della crisi degli adulti di fronte alle relazioni; siamo noi adulti in crisi rispetto alle relazioni fondamentali della vita. Per affrontare il problema si deve partire dall’inizio: da noi adulti che dovremmo ispirare fiducia e non paura delle relazioni, che, ripeto, sono la principale fonte della gioia della vita».

Conduce su TV2000 “Buongiorno professore”, docu-reality sulla religione a scuola. Quali sono le grandi domande sull’esistenza che Le pongono gli adolescenti?

«Pochi giorni fa una ragazza ha detto in classe che il suo più grande desiderio è di avere una vita serena, libera dalle ansie. Mi è apparso all’inizio come un desiderio tipico di un anziano, ma poi mi sono reso conto che la parola “ansia” è la più ricorrente sulla bocca dei miei studenti. Questa ragazza ha parlato per rispondere alla mia domanda: “Ma voi giovani che cosa desiderate?”. Secondo me è utile rivolgere le domande ai giovani, se pro-vocati, rispondono e allora emergono le loro domande che poi sono le grandi questioni di sempre: troverò la gioia nella mia vita? Posso credere in questo mondo così confuso? È possibile realizzare una relazione stabile all’interno della quale crescere? Cosa mi manca per essere felice e qual è quindi il senso della mia strana esistenza?».