Gli anziani non autosufficienti: presenze silenziose e dimenticate da una società costretta a correre

Di questi uomini e di queste donne la cronaca parla quando si scopre che sono stati colpiti da umiliazioni e violenze. Quasi ogni giorno emergono nuovi casi di maltrattamenti a danni di anziani, ricoverati in casa o nelle strutture. Queste persone appartengono al popolo senza voce dei fragili e degli indifesi. Un popolo che cresce perché aumentano le aspettative di vita anche se non parimenti cresce la qualità della loro vita. È un popolo che abita case sempre più alla periferia delle città. Case sempre più numerose.
Sono gli anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti: presenze silenziose e dimenticate da una società costretta a correre.
Qualche volta li scova la cronaca nera. Su di loro si soffermano percentuali e statistiche per ribadire che il nostro Paese è ad alta velocità di invecchiamento.
Diventare anziani diventa un freno alla crescita, un ostacolo al futuro?
Se fosse così ci sarebbe un rischio di cui preoccuparsi molto: l’invecchiamento interiore di una società incapace di scorgere un volto dietro un numero.
È una deriva non lontana dalla realtà visto che sui temi della fragilità e dell’esclusione lo slogan, cioè la parola lanciata come un sasso, da tempo ha la meglio sul pensiero.
Le vittime di questa deriva culturale sono i più lenti, cioè i più deboli tra i quali gli anziani nelle case di lungo degenza. Non fanno più notizia. Basta scorrere pagine cartacee ed elettroniche per rilevarne l’assenza. Eppure c’è un’umanità silenziosa che anche se non percorre deserti e mari mette alla prova un’umanità che non può giocare sul prima noi e dopo gli altri.
“Queste persone dall’anima e dalla carne ferite – afferma lo scrittore francese Christian Bobin commentando l’incontro con il padre ricoverato in una casa per malati di Alzheimer – hanno una grandezza che non avranno mai quanti portano la propria vita in trionfo”.
Dalle finestre e dai vetri interni delle case dove sono, anche per ragioni serie e sofferte, i loro volti diventano risposta alta alle domande ultime dell’uomo.
Può sembrare impossibile ma anche queste persone hanno futuro, indicano nella loro immobilità fisica le strade da percorrere per scorgere orizzonti oltre i quali è l’infinito.
Orizzonti del pensiero. “Alcuni fiori vendemmiati dalla pioggia notturna – racconta Christian Bobin – sono caduti su un tavolo del giardino della casa di lungodegenza. Mio padre li guarda. Ha negli occhi una luce che nulla deve alla malattia: bisognerebbe essere un angelo per decifrarla”.
Il più debole, il più fragile bussa sempre alla porta della coscienza. Non chiede slogan rassicuranti ma pensieri che generino atti di amore e di giustizia senza i quali tutto, anche la politica, si spegne nel nulla.