Tradurre, interpretare delle poesie (altrui) usando la mia lingua prima, è una esperienza che c’ha il suo dolce nel lavoro con le parole. Due ragioni tra le tante:
- È un processo carico di energia che parte da solo, non sono io che cerco delle poesie da tradurre ma sono loro che mi prendono, io sono appena una piccola accelerata del sobàt del cör. La poesia appercepita così, tróbe tra lingua e lingua prima, è un filo di parole stese ad asciugare che i góta sul fondo impietrito che dice il Meneghello.
- Interpretare, tradurre, delle poesie che suonano, mi fa venire in mente ciò che sollecita onestamente G. Ladolfi (Atelier n.91) dicendo che “…. la poesia non è postromanticismo, postermetismo, postavanguardismo, postneosperimentalismo, è ricerca di umanità.“ e che far poesia è un lavoro che “…richiede consapevolezza dei propri limiti, studio e preparazione, esercizio, confronto, autocorrezione…” Impegnarsi a lasciar suonare le poesie è un esercizio salutare per chi lo pratica e per la poesia; è nel film Il postino, se non ricordo male, che Troisi fa dire a Pablo Neruda che “….la poesia non è di chi la scrive ma di chi la usa.”
Tomasz Gluziński è un poeta polacco, selvàdech, di cui si sa poco. Sul numero 341 di Poesia, Paolo Statuti in un articolo cura la presentazione di questo poeta e di 10 sue poesie.
Da un articolo di Jarosław Mikołajewsk ( poeta polacco scrittore e traduttore di lingua italiana) si sa che Gluziński nasce nel 1924 a Lwów. La guerra lo caccia dalla città natale e nel 1950 si stabilisce a Zakopane. Un conciso e colorito curriculum di Gluziński lo troviamo nella sua autobiografia essenziale contenuta nella lettera da lui scritta al poeta Zbigniew Herbert nel 1983. Emerge da essa la figura di un patriota che nel 1944 si arruolò nel 1 Reggimento Alpini, che dopo la guerra cercò la sua dimora nella Bassa Slesia, e infine si creò una famiglia, mettendo per sempre radici ai piedi del Giewont. Sciatore, allenatore delle nazionali femminile e maschile di sci, uomo di forte fibra. “Al partito o altra ignobile organizzazione non appartenevo – scrive nella suddetta lettera – non applaudivo, non sorridevo stupidamente, ho pubblicato un paio di libri e neanche una volta ho consegnato personalmente il manoscritto alla casa editrice, servendomi sempre della posta. Non mi conoscono da nessuna parte, non sanno che aspetto ho”.
Come poeta Gluziński debuttò nel 1958 sul settimanale “Tygodnik Powszechny”, ha pubblicato 11 raccolte di poesie, è morto nel 1986. “Era – scrive Karasek – una delle personalità di Zakopane, come il pittore Brzozowski, lo scultore Rząsa o il generale Boruta-Spiechowicz – stabile elemento del paesaggio di questa città (…). E’ sepolto nel Vecchio Cimitero, celebre necropoli di Zakopane. “Sciavo – scrive riassumendo ad Herbert la sua vita – al sole, nella nebbia, nelle bufere di neve, sul ghiaccio, giravo sulle creste, sulle vette, nei boschi, e ringraziavo Dio che mi aveva fatto diventare un poeta poco istruito, ma esperto”. Tomasz Gluziński era un poeta che sperimentava in maniera oltremodo consapevole. Era il poeta della rude denominazione della realtà, degli inattesi paragoni, delle ricerche nello spazio e nella fantasia al tempo stesso, del ridurre il mondo alla sua essenza. C’è nei suoi versi il coraggio di denudare i rituali, l’audacia del linguaggio corrente e dell’arrivare al nocciolo delle cose, senza inutili preamboli.
Quàt amò di Tomasz Gluzinski. Clicca sul pulsante qui sotto per ascoltare la poesia
QUÀT AMÒ
di Tomasz Gluzinski
–
quai esperiènse amò
quace sacrefésse ocórel sübì
per mia ciamâ i bisògn del i-spéret
adóma ö mercât
per ö bucù de pà
quat tép gh’àl de passà
per capì che la fam del cör
la se alimènta de la biàa e del fé de la erità
e mia de ór
che l’cópa
quat sangh strecoreràl amò
quat a m’sa ströcherài ’l servèl
per capì ol de ’n do ca l’vé de la bramìsia
per saì
cosa l’è che l’ga döl
–
Zakopane 6.09.1983
QUANTO ANCORA
di Tomasz Gluzinski
–
quali esperienze ancora
quanti sacrifici occorre subire
per non chiamare i bisogni dello spirito
solo un mercato
per un boccone di pane
quanto tempo deve passare
per capire che la fame del cuore
si nutre di foraggio della verità
e non di oro
che uccide
quanto sangue scorrerà ancora
quanto ci spremeremo il cervello
per capire l’origine della bramosia
per sapere
cosa ci duole
–
Zakopane 6.09.1983
(traduzione in lingua prima, dialetto bergamasco media Valle Seriana di Maurizio Noris)