Le icone in mostra a Gandino. I colori del “Trittico Copto”, un’opera che arriva dall’Africa

Proponiamo  un approfondimento sul “Trittico Copto” esposto nella mostra “Iconae Mariae. Il volto di Dio nelle icone della Madre” in corso al Museo della Basilica di Gandino fino al 7 aprile. La mostra è aperta venerdì, sabato e domenica dalle 14,30 alle 18,30. Aperture e visite guidate in settimana solo su prenotazione: segreteria.museo@gmail.com 3485163905, www.museobasilica.com. Il testo che presentiamo, a cura di Stefania Verità, è estratto dal catalogo dell’esposizione.

 

Le icone hanno avuto una larga diffusione anche nell’Africa del Nord, nelle chiese di rito copto. Esse costituiscono un patrimonio che è stato oggetto di distruzioni casuali o programmate e alcune di esse venivano bruciate annualmente per alimentare il fuoco in occasione di particolari cerimonie religiose. Le icone copte rappresentano di preferenza la Vergine Maria con il Bambino e gli episodi della sua vita, tra cui la Fuga in Egitto, la Dormizione e l’Assunzione. Inoltre è raffigurato Cristo in trono o nelle sue vicende terrene, come la Crocifissione e l’ascensione. Oltre a questi temi “classici”, spesso compaiono gli Arcangeli e i Santi, presenze molto vicine all’uomo copto e ai quali erano affidate per tradizione specifiche funzioni. Vengono inoltre rappresentati i martiri, i santi cavalieri, le cui leggende si arricchirono di particolari avventurosi ed eroici, distanziandosi nel tempo dalla sobrietà degli Acta antichi e determinando sovrapposizioni e contraddizioni. Vengono inoltre rappresentati i santi guaritori e i padri del monachesimo. Questi temi, più volte ripetuti, sono realizzati in una sorprendente pluralità di linguaggi. Se ne distinguono alcuni filoni: uno, che potremmo chiamare locale, è quello che maggiormente si collega alle pitture su tavola più antiche e alle pitture delle fondazioni monastiche più recenti; un altro, più aulico e legato a formulazioni bizantine; un terzo, connesso con l’Etiopia e il suo particolare stile. In Etiopia, così come in Europa, vige il binomio arte-religione. L’iconografia etiope mostra un carattere molto inusuale e distintivo, che presenta notevoli somiglianze con l’ stile ritrattistico di derivazione classica e che trova le sue basi, nell’arte paleocristiana. La tecnica del disegno e della pittura sono assai primitivi e nel complesso possono apparire stilizzati e poco raffinati, il forte antinaturalismo veniva spesso esaltato dall’uso di colori forti e squillanti, simile a quello dell’arte islamica. Uno dei soggetti tipici e amatissimi dell’iconografia dell’arte copta etiope è l’episodio della fuga in Egitto, in cui la Madre di Dio mostrò una forza di volontà inusuale per una donna del tempo. Il trittico qui esposto raffigura, nella parte alta della tavola centrale, la Vergine con il Bambino e gli angeli, rappresentati i dodici Apostoli e nelle due ante laterali sto, tra cui la Crocifissione, San Demetrio e San Giorgio. Pittura “elementare” caratterizzata da un fare quasi naif, ma estremamente potente nell’impatto cromatico dato dai rossi, gialli e azzurri, capace di una narrazione immediata e omnicomprensibile. Quest’opera riesce a comunicare l’animo di una cultura lontana dalle raffinatezze stilistiche della Grecia e di Bisanzio. I volti, dai tratti somatici propri di quella popolazione e segnati da grandi occhi, dalle canne del naso appuntite e dalle labbra carnose, evidenziano una proporzione figurativa molto diversa da quella canonica della pittura di icone: qui infatti i corpi sono alti quattro volte la testa. Il senso del volume e il movimento dei panneggi è risolto con semplici pennellate di tonalità o più scura (manto della Vergine: azzurro-blu) o in contrasto (manti gialli segnati con il rosso); il consueto fondo oro è sostituito con il rosso o il verde senza, però, togliere la dimensione spirituale e divina dell’opera. Testimonianza di un’arte unica nel suo genere e ancora pressoché sconosciuta questo polittico etiope ha la valenza di aprire un’ulteriore finestra sul mondo della devozione.