Verso il voto: il Parlamento europeo dichiara guerra alle fake news

Verso il voto: il Parlamento europeo dichiara guerra alle fake news. Parla il capo dell’unità Marjory Van Den Broeke. “Se le persone non sono più in grado di distinguere tra bugie e verità, allora la democrazia e la vita morale delle persone sono in grande pericolo”: è questo il principio che ispira il lavoro dell’olandese Marjory Van Den Broeke, dal 15 gennaio 2018 capo di uno specifico ufficio del Parlamento europeo, la “rebuttal unit”, chiamata a mettere in rilievo, contrastare e smentire le informazioni false, distorte o fuorvianti riguardanti l’Assemblea parlamentare. È un compito non semplice ma cruciale in vista delle elezioni del maggio prossimo, parte di una lotta contro la disinformazione che l’Ue ha avviato a vari livelli nel 2015 e che mira a garantire la libertà e la lealtà dei processi democratici, in primis le elezioni. È la sottile linea di confine tra la libertà di espressione, valore fondamentale nell’Ue, e la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso parole scritte o twittate da chi vuole fare profitto o ingannare intenzionalmente. Il Sir ha chiesto a Marjory Van Den Broeke di fare il punto sulla situazione.

Quali sono i rischi più seri per l’informazione in questa campagna elettorale?
A partire dalle elezioni presidenziali americane del 2016 tutti sono diventati più consapevoli che esistono rischi e avvengono cose “strane”, ma non abbiamo certezze. Sul piano informatico lavoriamo perché il sistema del Parlamento sia sicuro e protetto, preparandoci in modo particolare per la notte delle elezioni, il 26 maggio. Per rafforzare la sicurezza informatica a livello nazionale è stata attivata una rete tra le autorità competenti insieme alla Commissione europea. Quanto alla disinformazione, invece, la questione è molto delicata:
assistiamo a tentativi di prendere un argomento (l’immigrazione è un esempio eccezionale) e far esplodere un caso o distorcerlo a tal punto da renderlo fake news. I governi dell’Ue a dicembre hanno adottato un piano d’azione contro la disinformazione, secondo cui le istituzioni dell’Ue e gli Stati membri sono chiamati a collaborare su diversi fronti. Come Parlamento ora lavoriamo insieme alla Commissione e al Servizio di azione esterna per scambiare competenze, unire le forze, condividere esperienze e ragionare insieme su quali siano le principali criticità. Rispetto al Parlamento abbiamo verificato che più che una falsa informazione, c’è una sorta di generale, grande notizia negativa sull’Ue.

Qual è il confine tra fake news e informazione ingannevole o cattiva informazione?
In effetti non è molto chiaro. Io vedo falsa informazione o false notizie legate ad aspetti negativi. Se vedo una falsa notizia su cose positive non mi preoccupo molto, ma non succede mai. Tentativi scientifici di classificazione distinguono tra cattiva informazione (misinformation) che contiene errori; informazione falsa (disinformation) che è una vera campagna che usa in modo consapevole qualcosa di sbagliato per screditare una persona o un’istituzione; o ancora l’informazione malata, di chi rivela informazioni per arrecare danno a qualcuno. Per me, sul campo, è importante guardare a ciò che non è vero e a ciò che danneggia l’immagine. Hanna Arendt ha detto: se le persone non sono più in grado di distinguere tra bugie e verità, allora la democrazia e la vita morale delle persone sono in grande pericolo. Con le elezioni in arrivo è importante che le persone sappiano fare questa distinzione e comprendano che cosa è veramente l’Europa.

Quali ambiti o temi corrono il pericolo di essere trattati in modo ingannevole durante la campagna elettorale?
Qualsiasi tema può essere usato, ma se si guarda attentamente si arriva sempre a tre temi di fondo riguardo all’Ue: “c’è una burocrazia enorme”, “fanno tutto quello che vogliono”, “è troppo dispendiosa”. In realtà, se si guarda il numero di funzionari di Bruxelles è uguale o anche inferiore al numero di quelli che lavorano in un ministero di un solo Stato membro. O se si guarda ai soldi che vanno all’Ue: tutto il bilancio dell’Ue è meno dell’1% del Pil dell’Europa, quindi è veramente molto poco. O sul tema delle regole si può citare tutta la vicenda della mucca Penka in Bulgaria a dimostrazione del fatto che il modo in cui funzionano le regole non corrisponde a come vengono presentate e si dimentica sempre perché esistono certe norme.

Come operate concretamente?
In modi diversi: quando emerge sui media qualcosa di estremamente scorretto, chiamiamo il giornalista interessato e cerchiamo di spiegare; siamo sempre sinceri, perché se inizi a mentire perdi la credibilità; cerchiamo di correggere le notizie, magari facendo un tweet; cerchiamo di mostrare anche in modo divertente, con un progetto su cui stiamo lavorando, che le regole Ue non sono stupide e inutili, che l’Ue non è costosa e così via. Proviamo queste strade per contrastare l’immagine negativa che è stata creata, molto spesso da politici nazionali, bisogna dirlo. Cerchiamo anche di aiutare le persone a capire come muoversi, con la cosiddetta “alfabetizzazione mediatica”: spieghiamo che se si legge qualcosa su facebook, bisogna analizzare attentamente prima di iniziare a schiamazzare e condividere. Guarda chi l’ha scritto: vedi un nome? Chi sono le persone citate? Chi ne parla è il “Corriere della sera” o è un sito con un nome molto strano? Ci sono una serie di operazioni pratiche che si possono fare per controllare se si tratta di una storia vera o no.

Questo lavoro però è molto orientato alle persone che usano i social media o navigano in internet…
Non solo. Anche i media tradizionali sono molto importanti. Di fatto molto di quanto gira sui social arriva da qualche parte. Certo sui media online se ne trova forse più che sui media stampati: alcuni siti, che noi conosciamo, esistono solo per dire stupidaggini. Altri, come aveva dimostrato un’inchiesta condotta nel mio Paese, da un settimanale olandese, lo fanno perché ricevono denaro russo. A volte poi ci sono media stampati che hanno bisogno di “storie” per essere sensazionali e vendere: è il cosiddetto “clickbait”, cioè lo scrivere storie in cui le persone vedono la notizia scandalistica, con bei titoli immediati. E questo avviene anche sui media mainstream che dipendono da un certo tipo di modello commerciale. E i social media non di rado fanno ulteriormente circolare disinformazione e falsità.