Sanremo e la politica. Riflessioni inopportune dopo il festival

Foto: Mahmood, il vincitore del 69o festival di Sanremo

Non sono un esperto. Soltanto voglio capire

La mia piccola riflessione necessita di una premessa: non sono esperto né di musica né di politica. Ascolto volentieri la musica, ho suonato per 10 anni la chitarra classica e mi piace venire a conoscenza delle forme espressive nuove in questo ambito. Non è una novità che la musica sia rappresentativa del pensiero della gente, soprattutto dei giovani. Nel contempo, leggo i giornali, ascolto persone competenti in politica, qualunque partito rappresentino, perché sono un cittadino e voglio capire.

Non un esperto, dunque, ma uno che prova a mettere testa nelle cose con passione, per quel poco che posso fare e con tutti i limiti delle mie capacità, per capire come e dove va il mondo in cui viviamo. È un passaggio necessario, questo, perché la nostra testimonianza del Vangelo non sia disincarnata, ma si collochi dentro la storia concreta che stiamo vivendo e, forse, qualche volta, subendo.

Sanremo e il polverone di dopo. Ultimo e la politica

La serata finale di Sanremo ho ascoltato le canzoni. Personalmente mi è molto piaciuto il testo di Cristicchi e ho apprezzato l’abilità canora del gruppo “Il Volo”. Non mi è dispiaciuta neanche la canzone di Mahmood: l’avrei collocata sul podio anch’io, anche se non sul gradino più alto.

Quello che invece mi ha rattristato non poco è il polverone scatenatosi i giorni successivi al Festival. Mi torna alla mente la triste scena di Ultimo, secondo classificato, che ha brillato per la sua maleducazione, unita al risentimento tipico di chi non sa perdere (nonostante, goffamente, tentasse di affermare il contrario). Ultimo ha fornito uno spaccato di certe modalità espressive che stanno dilagando negli adolescenti e nei giovani di oggi su cui mi permetto di dire che sarebbe opportuno fermarsi a riflettere. Se questi sono gli esempi, non mi stupiscono gli adolescenti con la bestemmia facile e un linguaggio caratterizzato da un  periodare nel quale su dieci termini otto sono parolacce e due congiunzioni.

Ma un pessimo esempio è venuto anche dalla politica. Non è mancato chi ha sostenuto che la vittoria di Mahmood (italianissimo!) sia stata studiata ad arte per assecondare la “linea Baglioni”, in evidente contrasto con alcune scelte politiche del governo. E allora via a ogni genere di illazioni, talvolta trasformatesi in vere e proprie calunnie: tutto truccato, falsificazione dei voti, corruzione della giuria.

Si è addirittura giunti al punto di credere, da parte di molti, a un soggetto che, in un video, spacciandosi per un giurato che voleva dire la verità delle cose a costo di perdere il posto di lavoro, rivelava che il voto al vincitore è stato imposto dall’alto, da certa politica oggi all’opposizione. Fa niente se, poi, sono bastati pochi minuti per smascherare la fake news, per scoprire che il soggetto del video in tante altre occasioni e su altri argomenti si è spacciato per qualcuno inventando di tutto e di più. Intanto, i geni della lampada amanti di queste situazioni avevano già condiviso il video sui social per comunicare al mondo la pubblica confessione.

Dubbio: la politica forse parla di Sanremo per evitare di parlare d’altro

Ora, qualche piccola domandina che, nella mia ignoranza, vorrei porre: ha così poco da fare la politica per contestare chi ha vinto il Festival della canzone italiana? Scandalizza più la vittoria di Mahmood del paese in recessione? Non ha nulla da dirci sui trentenni laureati che non trovano lavoro dopo centinaia di curricula inviati? E, soprattutto, mi sorge un dubbio, in ossequio al detto popolare “a pensar male si fa peccato, ma si indovina”: non è che, forse, tutto questo avviene proprio per non parlare delle questioni serie della vita del nostro paese?