“Solo se il prete mi obbedisce”. I laici che lasciano perché cambia il prete

Il prete che cambia tutto

Ho letto con particolare attenzione, qualche settimana fa, proprio su questo nostro notiziario, un articolo inerente il tema del nuovo sacerdote che giunge in parrocchia e, immediatamente, mette in atto cambiamenti significativi nell’impostazione pastorale. Questo comporta l’evidente rischio di creare disorientamento nella comunità, oltre che di trasmettere alla comunità stessa che il percorso fatto fino al suo arrivo, guidato da un confratello a sua volta partito per altra destinazione, non è stato buono né degno di essere proseguito in quella forma.

A questo proposito, ricordo sempre il prezioso suggerimento del Vescovo Roberto Amadei ai preti, soprattutto ai parroci, che diceva: “Il primo anno si guarda, si conosce, si capisce e si entra con rispetto nel cammino della comunità, poi si può, con calma, impostare la pastorale cambiando quello che, dopo aver condiviso le scelte con i consigli, si reputa di dover cambiare per il bene della comunità stessa”. Leggendo i commenti sottostanti l’articolo, ho colto il dolore della gente legato a queste questioni e ne ho fatto motivo per una riflessione personale.

I laici che se ne vanno perché cambia il prete

Da parte mia, vorrei qui trattare di un altro tema che mi sta a cuore e crea, purtroppo, non poche sofferenze sia a noi sacerdoti che alle comunità, insieme a non poche tensioni. È la situazione di chi presta il suo servizio in comunità a seconda del prete che c’è.

Ora, una puntualizzazione è necessaria. La compatibilità caratteriale non è di secondaria importanza, lo sappiamo tutti. Per questo motivo, è chiaro che alcuni ruoli quali il segretario parrocchiale o di oratorio, il presidente di un gruppo parrocchiale o qualsiasi ruolo che preveda lo stretto contatto con il parroco o il curato diventa difficoltoso da svolgere se non ci si capisce o si fatica a condividere un’impostazione.

Ma tutti gli altri ruoli, quali la catechesi, il servizio pratico nelle liturgie o altri servizi in parrocchia, possono essere svolti a prescindere dalla diversa visione delle cose rispetto al sacerdote.

Certo, e qui si colloca il punto centrale, occorre crederci. Se io credo in ciò che vivo in parrocchia e so perché e per chi lo vivo, io proseguo nel mio servizio. Se io credo nella trasmissione della fede ai bambini, nel mio servizio liturgico, nel mio darmi da fare in nome della fede in Gesù Cristo e per il bene dei fratelli, non mi tiro indietro.

I laici se ne vanno perché il nuovo prete non è simpatico

Non di rado, purtroppo, oggi questo non accade e si tende a stare nella comunità solo se il sacerdote ci è simpatico, tende a darci ragione, è in linea con il nostro modo di vedere le cose e, soprattutto, ci obbedisce. Qualora questo non accada, è il sacerdote che non va bene… e allora via a quanto di più doloroso possa accadere in una comunità: chiacchiere, voci, divisioni, tentativi di mettere in cattiva luce lui e i collaboratori, colpevoli di condividerne le idee e l’impostazione.

A volte, poi, avviene un altro passaggio assai difficoltoso nelle comunità. Accade che chi abbandona il suo servizio volontario perché il sacerdote non gli è gradito, non solo cerca di ostacolare la pastorale parrocchiale, ma promette di tornare quando il prete sarà sostituito, magari accompagnando questa intenzione con l’affermazione “ne parleremo quando quello sarà andato via… ne avrò di cose da dire… allora tornerò e prenderò in mano io un po’ la situazione di quel gruppo, in oratorio…”.

Il coraggio di parlare

Ora, è decisamente interessante questo passaggio. Solo alcune domandine, utili per un discernimento personale: se ho qualcosa da dire o delle presunte verità sul mio attuale pastore, perché per dirle devo aspettare che vada via? Non ha forse diritto di rispondere?

E se passo anni a parlar male, con quale coraggio e con che dignità mi presenterò come generoso volontario, un domani, al nuovo sacerdote che arriverà in parrocchia?

E poi, una domanda mi sta a cuore: potrò tornare a parlare di Dio ai bambini, a dire loro dell’amore di Dio per ogni uomo, della bellezza del Vangelo, quando con il mio parlar male, il mio sistematico “agere contra”, di quel Vangelo sarò stato per anni una vivente controtestimonianza? Forse queste saranno riflessioni semplici, non credo banali, di un curato di campagna. Eppure, ho l’impressione che qui ne vada dell’autenticità della fede…