I tempi (alterni) della politica. L’Italia impantanata in una continua campagna elettorale

La politica è anche una questione di tempi, non soltanto di contenuti e di metodo. Su questi due ultimi versanti, beninteso, ci sarebbe molto da dire guardando a quanto è avvenuto nell’anno che ci separa dal voto “epocale” del 4 marzo 2018. Per capire meglio il presente, anzi, bisognerebbe anticipare l’analisi alla campagna elettorale che quel voto ha preceduto e che spiega molto di quanto è accaduto successivamente. Ma portare al centro del dibattito pubblico il tema dei tempi della politica è un esercizio che oggi diventa più che mai necessario. Perché il Paese è impantanato in un presente programmaticamente acceso di ansie e di paure, di annunci e di giravolte, e non riesce a guardare avanti. Si va da una campagna elettorale all’altra senza soluzione di continuità, così che si può parlare non arbitrariamente di una campagna elettorale permanente. Un agitarsi scomposto che non produce movimento perché manca una direzione di marcia comune e un orizzonte condiviso. Come se le energie messe in campo finissero per elidersi tra loro.
Si tratta di una patologia che non affligge soltanto la politica italiana e che ha radici profonde. “Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica – scriveva papa Francesco già nella Evangelii Gaudium – consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione”.
Ma è pur vero che nell’attuale stagione politica italiana questa patologia si presenta in modo parossistico. Si oscilla continuamente tra le opposte pulsioni della fretta e del rinvio. L’ostinazione con cui si è voluto dare il via all’operazione Reddito di cittadinanza non solo senza un’adeguata preparazione per una misura di quella portata, ma addirittura prima della conversione in legge del relativo decreto – con effetti giuridici paradossali – è l’esempio più macroscopico della prima tendenza. Quanto alla seconda, si evidenzia soprattutto nell’idea di posticipare a dopo le elezioni europee una serie di questioni fortemente divisive per la maggioranza di governo anche se di grande rilevanza per il Paese. Oltre le colonne d’Ercole del voto di maggio c’è il mondo incognito, più in là non si è capaci di guardare.
Qualche giorno fa il Capo dello Stato è intervenuto all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università Iulm, a Milano. Riprendendo sul filo dell’ironia una suggestione dell’intervento del rettore, che aveva citato Confucio (“Se pensi in termini di centinaia di anni, insegna alla gente”), Sergio Mattarella ha affermato: “Sarebbe ampiamente sufficiente, e sarei pienamente soddisfatto, se si ragionasse in termini di decenni, con una capacità di essere pronti per affrontare il futuro, per progettarlo”. Ecco, il punto è proprio questo.