Per il bene del bambino. Esperienze attorno agli alunni che fanno difficoltà

Lo spunto per questo testo giunge da più parti. In particolare, la mia presenza, seppur concentrata in poche ore, nel mondo della scuola, mi permette di ascoltare i racconti degli insegnanti. Nel contempo, la vita da prete di Oratorio mi mette a contatto anche con i più piccoli, quelli della scuola dell’infanzia, insieme anche alle maestre.

L’attenzione ai bambini e ragazzi “che manifestano particolari difficoltà”

Soprattutto dopo i primi mesi di scuola, intorno a metà anno, anche se non esclusivamente in questo periodo, si focalizza l’attenzione, a livello scolastico, sui bambini e ragazzi che manifestano particolari difficoltà nell’affrontare il percorso.

Ad ogni livello, dall’asilo alla scuola media, gli insegnanti si confrontano su ogni singola situazione. Alla scuola dell’infanzia si ascolta quanto emerso dall’osservazione congiunta di insegnanti, psicopedagogista e psicomotricista. Alla primaria si studiano le fatiche negli esercizi, in particolar modo nell’alfabetizzazione e nei primi esercizi di matematica. Alla scuola secondaria di primo grado si ha cura di notare l’eventuale presenza, ad esempio, di dislessia e discalculia, che per vari motivi talvolta non sono stati segnalati dalla scuola primaria.

Il difficile rapporto con la famiglia

E qui, purtroppo, spesso iniziano i problemi. Uno in particolare: la costruzione di un’alleanza educativa con la famiglia. Mi è capitato più volte di percepire la forte tensione di un collega prima di un colloquio informativo con un genitore. Non è per nulla semplice segnalare a un genitore che il bambino sta incontrando difficoltà, che a livello cognitivo potrebbero esserci dei deficit, che non raggiunge gli obbiettivi minimi senza prove semplificate e che, per valutare in modo preciso la situazione, è bene un passaggio di valutazione presso la neuropsichiatria.

Qualche volta il colloquio con la famiglia va bene, ma quante volte va male! Non raramente il genitore si irrigidisce, tende a negare o a relativizzare, “ma no, sarà stanco! … è perché studia poco, adesso lo sistemo io!… è disturbato da alcuni compagni..”. Altre volte, si assiste a esplosioni di rabbia, a minacce di querela, perché ad essere incapaci sono gli insegnanti, “il bambino è intelligentissimo e farà ingegneria come il suo papà!”. E a pagare cara la situazione è il bambino stesso. Questo perché senza il consenso del genitore per noi, a scuola, è difficile aiutare il ragazzo. Possiamo, nel limite del possibile, avere un occhio di riguardo, ma senza una certificazione redatta da chi è competente in materia (per la quale serve il consenso della famiglia), possiamo fare poco.

Ad esempio, non possiamo sottoporre al ragazzo prove scritte adeguate alle sue possibilità e siamo costretti ad assegnargli esercizi che non è in grado di affrontare, così che il voto sarà gravemente insufficiente, a casa verrà punito “perché non studia!” e con questa situazione lascio immaginare lo stato psicofisico del bambino che, oltre a non capire le diverse materie, non capisce nemmeno perché viene punito nonostante ce la metta tutta.

Cari genitori. E se lavorassimo insieme? Per il bene dei ragazzi

Ora, cari genitori, cerchiamo di lavorare insieme. La posta in gioco è alta, perché è il bene dei vostri figli! Non è facile per nessuno accettare delle fatiche nei figli, prendere coscienza che ci sono dei problemi, che servirà aiuto, che si dovranno stilare piani personalizzati e forse, in alcuni casi, sarà necessario un insegnante di sostegno o un assistente educatore.

A volte, forse sbagliando un po’, si è partiti da aspettative preconfezionate, decidendo già al momento della venuta alla luce del piccolo le caratteristiche che avrebbe dovuto avere. “Sarà bellissimo, bravissimo e intelligentissimo”: e se non sarà proprio così? Se farà fatica nell’apprendere e non potrà fare la carriera accademica come il genitore? Sarà forse una colpa?

Cari genitori, anche noi insegnanti, come voi, vogliamo il meglio per i vostri ragazzi. L’ultima cosa che vogliamo è sottoporli ad umiliazioni e men che meno, secondo un’espressione che ho sentito più volte nelle contestazioni alla scuola, “tarpare le ali” ad alcuno. Al contrario, vogliamo che il loro volo nella vita sia splendido, ma adeguato a quanto possono fare, per non cadere e farsi male.