Grande mistica e scrittrice, Santa Teresa Verzeri fu donna dalla spiccata personalità

Teresa Verzeri fu una donna dalla spiccata personalità, sia per l’importanza delle opere sociali e pastorali realizzate, sia per la cifra della sua santità. La sua esperienza spirituale presenta notevoli contenuti di originalità rispetto ai modelli offerti al suo tempo. Ad essa seppe dare potente espressione nel suo ricco e sterminato epistolario e nel Libro dei Doveri, una delle migliori se non la migliore opera di spiritualità dell’Ottocento italiano.

Divo Barsotti, uno dei pochi che l’ha studiata a fondo, definisce Teresa la più grande mistica dell’Ottocento Italiano ed una delle più grandi scrittrici della letteratura italiana, ponendola accanto a Caterina da Siena. Il suo apporto va al di là del campo spirituale. Dotata di acuta intelligenza e di non comune sensibilità pedagogica, le sue opere contengono preziosi spunti pedagogici che richiamano e anticipano il metodo preventivo di Giovanni Bosco. Scrisse un catechismo da usarsi per l’istruzione cristiana delle ragazze e perfino poesie e testi teatrali, recitati dalle ragazze e rappresentati nei suoi oratori, tra cui si segnala La Farnese.

Teresa Verzeri nacque a Bergamo il 31 luglio 1801 dal Nobile Antonio e dalla Contessa Elena Grumelli nella parrocchia di S. Alessandro in Colonna. Educata in una famiglia molto religiosa, che aveva come guida spirituale il can. Giuseppe Benaglio, fu da questi indirizzata con l’amica Virginia Simoni alla vita monastica. Scelse il ricostituito monastero di S. Grata, in cui erano rientrate dopo quasi venti anni di esilio le vecchie monache dopo la soppressione napoleonica. Il Benaglio, che ne era il direttore spirituale, aveva bisogno di forze nuove per rilanciarlo, tanto più che ad esso era stata imposta l’istituzione di un educandato femminile.

L’esperimento non riuscì per l’opposizione delle monache ai nuovi metodi introdotti da Teresa nell’educazione delle ragazze. Il Benaglio, che aveva ravvisato in lei notevoli doti pedagogiche, preparò un’alternativa, aprendo sul Gromo, in Città Alta, una casa che ospitava le scuole elementari per le ragazze dei ceti popolari, l’oratorio festivo e un educandato per le ragazze borghesi. Dopo due anni, Teresa nel marzo del 1823 uscì da S. Grata per reggere l’istituzione del Gromo, che si rivelò di grande utilità religiosa e sociale per le parrocchie di Bergamo Alta. Negli stessi anni il Benaglio aveva acquistato i locali del Seminarino, dove ebbero sede una scuola professionale per i ragazzi e l’oratorio festivo: in questo modo venivano soddisfatte le esigenze religiose della gioventù maschile e femminile di Città Alta.

Purtroppo il gruppo di giovani del Gromo, vide la defezione della superiora, la contessa Carolina Secco Suardo, che lasciò il gravoso compito a Teresa. Le titubanze di Benaglio, che non si decideva a trasformare il gruppetto delle giovani collaboratrici di Teresa in una vera e propria Congregazione Religiosa, come Teresa desiderava, indusse questa a ritentare la vita monastica. Rientrò in S. Grata nel dicembre del 1828. La ritrovata pace durò poco, perchè ben presto Teresa maturò la convinzione definitiva che quella monastica non era il modello di vita religiosa cui era chiamata.

Il Benaglio, che nel frattempo era diventato Vicario Capitolare dopo la morte del vescovo di Bergamo mons. Mola, la indusse a scrivere una Regola, sulla base della quale, l’8 febbraio del 1831 si diede inizio al Gromo al nuovo Istituto delle Figlie del S. Cuore. Questo nuovo inizio fu subito segnato dall’ingresso di numerose vocazioni, tra cui spiccano quattro sorelle della famiglia Grassi di Schilpario, tra le quali Giovanna Francesca Grassi, la seconda Madre Generale dell’Istituto dopo Teresa. Ad esse si unirono tre sorelle della Verzeri, che morirono purtroppo ancora giovani colpite da tubercolosi.

Dopo appena due anni, nella primavera del 1833 vi fu la fondazione della casa di Romano Lombardo, cui seguirono quelle di Breno (1835) e di Darfo (1837). Con la morte del can. Benaglio (gennaio 1836), Teresa perse un punto di riferimento essenziale per la giuda dell’Istituto, tanto più che si trovò a dover fronteggiare da sola l’opposizione del vescovo mons. Gritti Morlacchi, che vedeva nelle Figlie del Sacro Cuore una diramazione del Collegio Apostolico, cui apparteneva il Benaglio, al quale egli era fieramente avverso. Egli era disposto a concedere alle Figlie del Sacro Cuore una sola casa in Diocesi, quella periferica di Romano, per cui si dovette abbandonare nel 1840 la sede primitiva del Gromo.

Teresa trasferì la Casa Madre nella vicina diocesi di Brescia, prima a Darfo e poi a Brescia, dove acquistò il vasto complesso di S. Afra (1842). Seguirono poi ,le fondazioni di Rovereto (1843), Riva del Garda (1843) e Trento (1844). Quest’ultima costituisce l’esempio più completo di Casa di educazione realizzato da Teresa Verzeri. Essa ospitava un insieme di attività educative e professionali che venivano incontro alle esigenze di quasi tutta la gioventù femminile della città e dei dintorni: scuola elementare di base, con oltre 500 alunne, scuola di ricupero per le ragazze fuori corso, scuola del lavoro, educandato per giovani borghesi, convitto e scuola per le aspiranti maestre, collegio per le ragazze orfane o abbandonate dalle famigli ed oratorio festivo.

Ogni domenica era frequentatissimo, suscitando le lamentale dei giovani, che potevano incontrare solo poche ragazze per le vie pubbliche della città. Non esiterei a chiamare questa fondazione, la “Valdocco di Teresa Verzeri”, che anticipa di circa quindici anni l’analoga struttura creata da don Bosco per Torino. Altre case importanti furono: S. Angelo Lodigiano (1844), Piacenza (1844), che riscosse la grande stima della duchessa Maria Luigia d’Asburgo, la moglie di Napoleone; infine Recanati (1847) e il collegio delle neofite a Roma (1850).

Il lungo braccio di ferro con il vescovo Gritti Morlacchi si risolse a favore di Teresa. Seppe aggirare le difficoltà ottenendo l’approvazione dell’Istituto dall’Imperatore d’Austria (1840), dal papa Gregorio XVI (1841), grazie all’aiuto del cardinale Angelo Mai. Nel 1847 ebbe l’approvazione delle Costituzioni da parte di Pio IX (1847), di cui seppe conquistare la stima. In questi frangenti mostrò determinazione e capacità nel gestire trattative complesse.

Nelle torbide vicende del 1848, trovatasi a Brescia, riuscì abilmente a sottrarsi al pericolo di requisizione della sua casa, cui facevano da pretesto le accuse di gesuitismo, per via dei suoi legami con i padri della Compagnia di Gesù di Brescia, Piacenza e Roma, che preferiva agli altri come consiglieri e confessori suoi e delle consorelle. Intuì la mossa vincente: aprire la casa ai soldati feriti del vicino fronte di guerra, che a migliaia si riversavano su Brescia, senza che si riuscisse a trovare adeguato alloggio per tutti. La sua offerta fu naturalmente accettata e da allora le Figlie del S. Cuore furono oggetto di ammirazione, quando poco prima erano state minacciate di espulsione perchè “Gesuitesse”.

Teresa morì ancora giovane il 3 marzo del 1852 per epilessia, che l’aveva colpita nel settembre del 1848, conseguenza delle fatiche e delle tensioni di una vita culminati nei due terribili mesi di aprile e maggio del 1848. Nonostante la malattia, continuò indefessa la sua attività.

Della grandezza di Teresa Verzeri, che riuscì ad imporsi sia come guida per le sue innegabili capacità di governo e di educatrice sia come grande scrittrice erano pienamente convinti anche i contemporanei, che non a caso la definirono come la “Santa Teresa [d’Avila] dei nostri giorni”.
Fu beatificata nel 1946 da Pio XII e canonizzata nel 2001 da Giovanni Paolo II.

 

[Per chi volesse approfondire: G. ZANCHI, Teresa Verzeri (1801-1852). La santa teresa dei nostri giorni, Glossa, Milano 2017]