La strage di Christchurch e quella predica sul pelagianesimo

Pubblichiamo la riflessione di un lettore a margine della strage di Christchurch in Nuova Zelanda, che sottintende una domanda “scomoda”: in quale misura quello che accade nel mondo ci riguarda, in quale misura tocca la nostra vita quotidiana, le nostre famiglie, le nostre comunità? Un invito a pensarci su.

 

E’ una giornata come tante. Il figlio più grande deve fare colazione  per andare a scuola, è presto. Siete in piedi solo tu e lui. Due chiacchiere e due risate, come tutti i giorni.

                Guardi le notizie, con un tuffo al cuore leggi, cerchi dettagli. Un video, un videogame?

Cerchi di buttare un amo, per confrontarti e discutere, ma il figlio non è abbastanza grande per capire. Ti ascolta e rimane senza parole. Di fronte ad una cosa del genere, non ce ne sono di parole. Parti allora con una tiritera patriottica sul giusto controllo sulle armi… tanto per non lasciare il discorso senza un finale rassicurante.

Ci sono le spese settimanali da fare, l’olio in offerta al 40% di sconto…

I figli da seguire nelle loro attività, vittoria nella partita di pallavolo e i compiti da fare…

L’inizio del video è lì, con la sua marcetta militare di sottofondo.

Ti perseguita, devi vedere, devi renderti conto.

Lo cerchi.

Lo guardi.

Tutto.

Una volta.

Basta.

Capisci di aver messo nei tuoi ricordi qualcosa che non ti lascerà più…

La moglie impegnata in attività formative, che rientra entusiasta per essere riuscita a fare meglio del suo meglio…

Il collega di lavoro, che ti avvisa di un nuovo grosso ed impegnativo contratto…

Lo studio di Milano, che ti manda una tua brutta fotografia che verrà utilizzata per una campagna pubblicitaria, tra le giuste risate dei figli e della moglie…

La serata con i parenti, con una bimba di un anno che è un amore di terremoto.. butta le cose qua e là e poi mette le mani dietro la schiena, come assorta a verificare l’effetto dei suoi lanci sull’umore delle persone che la guardano…

Fai del tuo meglio per evitare di parlare di quello di cui vorresti a tutti i costi parlare, che ti segue come un ombra fin dalla mattina.

Con chi parlare? Con quali parole?

Il giorno dopo, la Messa domenicale. Il sacerdote si dimentica il canto di ingresso, non si ricorda la strofa. L’assemblea si perde. Cominciamo bene. È festa, anche se è quaresima c’è il patrono da ricordare.

Una Messa come tutte le domeniche, non una parola spesa per l’orrore che ti attanaglia.

La predica sul pelagianesimo.

Sul che? Cosa?  Ma lo sapete cosa è successo? L’avete sentito? Avete visto?

Qualche mese fa, in Novembre, 50 morti in Chiesa.

Stavano solo celebrando la Messa. Non erano più buoni o più cattivi di altri. Avevano solo deciso di passare un’ora del loro tempo in una stanza, a cantare e a stare assieme fra loro e con Dio.

Lo sapevi? Li abbiamo ricordati?

È la nostra chiesa, è la nostra assemblea. Sono i nostri morti.

Oggi tocca ad altri fedeli, con altri riti, su un’altra giornata.

Le donne in una stanza, con i bambini, gli uomini in un’altra. Da loro si usa così, come da noi secoli fa.

Non erano più buoni o più cattivi di altri. Avevano solo deciso di passare un’ora del loro tempo in una stanza,  a stare assieme fra loro e con Dio.

Pelagianesimo?

Non seguo la predica, faccio del mio meglio per seguire la Messa.

A casa, cerco:

Pelagianesimo; dottrina cristiana eretica secondo la quale il peccato originale fu dei soli progenitori, non dei discendenti, ma non macchiò la natura umana, che ne subì certamente ma solo le conseguenze. L’umanità ha la possibilità, per mezzo della sola propria volontà, di obbedire al Vangelo e dunque la responsabilità piena per i peccati; i peccatori sono criminali che hanno bisogno dell’espiazione di Gesù e di perdono.

Salvarsi con le proprie forze.

Mi viene in mente, subito.

Lei è a terra prona, seminascosta dal bordo di un marciapiede, ferita. È vestita di nero, con il velo che le copre i capelli lunghi. La strada è deserta, solo una macchina che sgommando scappa dal mostro.

Grida con la voce rotta. La voce è quella di una ragazza.

L’unico a sentirla è il mostro, che le spara altre due volte.

Il grido si interrompe.

Diceva

“help me!… please!… help me!”