La scelta della vita monastica: la gioia della fraternità e della povertà

Lunedì scorso sono stati celebrati i funerali di Anna Maria Canopi, figura di grande rilievo nel monachesimo italiano. Mi potresti dire quello che vi univa e quello che avevate di diverso – voi francescane – rispetto alla tradizione benedettina del monastero dell’Isola di san Giulio? Franca

Il desiderio di ricercare il volto di Dio, nella sequela umile e docile di Gesù, e di rendere, con la nostra vita, testimonianza credibile del suo Amore per ciascuno di noi, abita il cuore di tutti coloro che scelgono di appartenere a Dio e di vivere solo per Lui nella vita monastica, cara Franca!

L’acqua fresca del vangelo

La nostra vita, quella vita delle nostre sorelle benedettine e di tutti i monaci/e è punto di riferimento importante per l’uomo e la donna di ogni tempo, piccola sorgente che offre l’acqua fresca del vangelo a quanti ne sono assetati. Fisicamente separate dal mondo, ma profondamente unite all’umanità, ne condividiamo le gioie, le speranze, le consolazioni, le attese, le fatiche, i pianti e il dolore, avendo attenzione di discernere, con la sapienza dello Spirito, i segni dei tempi presenti nei solchi di questa nostra storia, per additarli a quanti attendono speranza.

Come sentinelle scrutiamo, in tal modo, l’orizzonte del tempo, per riconoscerne i germogli di bene e annunciare l’approssimarsi della primavera. Siamo, ciascuno con la propria peculiarità, una scuola di vangelo, di carità, di preghiera e di condivisione: alla porta dei nostri rispettivi monasteri bussano tutti coloro che sono alla ricerca, non solo del pane materiale (e non manca il servizio ai poveri), ma soprattutto quello spirituale e morale. Quanti pianti consolati in parlatorio, quante lacrime asciugate, quante pene ascoltate e offerte nella preghiera! Quante tenebre rischiarate e quante esistenze orientate! Siamo luoghi di silenzio e di ascolto; gravide di un dinamismo sorprendente! L’apparente inutilità che caratterizza le nostre rispettive vocazioni è, dunque, garanzia di fecondità e di generatività.

Noi, sorelle povere, alla scuola di Francesco e di Chiara

L’alveo nel quale noi sorelle povere di santa Chiara viviamo la vocazione contemplativa, attinge, tuttavia, all’esperienza spirituale e mistica di san Francesco e santa Chiara d’Assisi. La nostra forma di vita, perciò, è caratterizzata dall’altissima povertà e dalla fraternità, alla luce delle quali viviamo e interpretiamo la nostra chiamata.

Nel nostro cammino di sequela a Cristo povero e crocifisso, la fraternità è valore irrinunciabile; anche l’appellativo “sorelle” che ci designa esprime molto bene la nostra forma di vita contemplativa-fraterna. Ma c’è di più! Essa è il luogo teologico nel quale facciamo concreta esperienza dell’Amore di Dio rivelato in Gesù e nel quale rispondiamo a Lui con la totalità dei nostri affetti. Non esistono altri luoghi! La fraternità rende visibile la paternità di Dio su tutti gli uomini e la loro uguaglianza; scrive il san Francesco d’Assisi nella sua Regola: “E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori. E l’uno lavi i piedi all’altro”.

Insieme alla fraternità, la povertà intesa come “senza nulla di proprio”, è un cardine della nostra forma di vita. Chiara e Francesco la scelsero per conformarsi al “Figlio di Dio, che mentre viveva sulla terra non volle mai allontanarsi da questa santa povertà”; (TestsC) e che “povero fu posto nella mangiatoia, povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo” (TestsC). Nella Chiesa siamo perciò simili a “un piccolo gregge che il Signore e Padre ha generato, per seguire la povertà e l’umiltà del suo Figlio diletto e della gloriosa vergine, sua Madre”. (cfr. TestsC).

Le scelte concrete

La fraternità e l’altissima povertà, vissute in minorità e in letizia, si traducono in scelte concrete: dall’orario della giornata, al lavoro; dalla preghiera liturgica, a quella personale; dalla corresponsabilità nella conduzione della fraternità, al servizio umile “del lavare i piedi”; dalla condivisione dei nostri beni con i poveri, alla sobrietà nell’uso delle cose; dalla nostra disponibilità a intercettare la vita così come essa bussa alla nostra porta al nostro monastero, al nostro modo di relazionarci con il mondo, ecc, esprimiamo la nostra peculiarità francescana-clariana.

Nessuna contrapposizione, quindi, con la spiritualità benedettina, ma varietà di carismi!

Questi sono doni dello Spirito per l’edificazione della comunità dei credenti; la loro pluralità manifesta la bellezza e la ricchezza dell’unico Cristo Signore da contemplare e amare con tutte le fibre del nostro cuore.