Alberto da Prezzate (nome germanico, abbreviativo di Adalberto) è il primo santo di origine bergamasca di cui possediamo un autografo e un numero sufficiente di documenti che ci permettono di costruire la sua biografia. Il monaco Vito, suo stretto collaboratore, è una figura più defilata, ma storicamente sicura. La famiglia di Alberto era nobile e discendente dai Longobardi, una popolazione barbarica che nel 568 dopo Cristo aveva invaso l’Italia e che dopo quattro secoli si era fusa con la popolazione latina, anche se le famiglie nobili mantenevano la loro discendenza. La famiglia di Alberto era proprietaria della “corte”[in latino curtis], cioè della vasta proprietà di Prezzate, che comprendeva tutto il paese e i territori circostanti, sulla quale lavoravano i coloni, legati alla terra e sottomessi al proprietario. Alberto era nato verso il 1020. Succeduto al padre Ariprando, era signore di Prezzate, chiamato a governare e a difendere il suo territorio, come qualsiasi altro nobile-guerriero del suo rango. In un anno oscillante tra il 1071 e il 1075 compì un gesto significativo, indice del suo orientamento religioso: il pellegrinaggio a S. Giacomo di Compostella in Spagna. Si trattava ci percorrere a piedi circa 4400 chilometri tra andata e ritorno, senza scorta militare e in abito di umile pellegrino, per più di un anno. Tale pellegrinaggio lo confermò nella sua vocazione religiosa, orientata alla scelta della regola di S. Benedetto, secondo la riforma praticata nel grande monastero francese di Cluny, che in quel secolo era in piena espansione in tutta Europa con la fondazione di numerose case. La Congregazione di Cluny era diretta dal grande abate S. Ugo, colui che fece da mediatore tra il papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV nel 1077 al castello di Canossa. L’8 novembre del 1076 Alberto donava a Cluny terreni di sua proprietà nella zona di Pontida, sui quali fu costruito il primo monastero. Fu seguita da una seconda donazione nel 1079, in cui appare la costruzione della chiesa dedicata a S. Giacomo, a ricordo del suo pellegrinaggio che aveva appena compiuto. Il 13 gennaio 1080 Alberto faceva a Cluny la donazione della terra di Fontanella dove era già iniziata la costruzione del nuovo monastero in onore di S. Egidio abate. Alberto non era ancora entrato in monastero, lo troviamo nel 1082 al placito di Palosco con l’imperatore Enrico IV, unitamente ai nobili ed aristocratici dell’Italia settentrionale, testimonianza del suo alto grado sociale; probabilmente gli impegni connessi al suo rango ritardarono il suo ingresso nella vita religiosa. Questo però era imminente, perché dal 1082 al 1090 Alberto risulta assente dall’Italia e presente nell’abbazia di Cluny, dove fece il suo noviziato e divenne religioso benedettino a tutti gli effetti sotto la guida di S. Ugo. La comunità monastica di Cluny era formata da non meno 200-300 monaci che si servivano di una chiesa che allora era la più vasta della cristianità. Possiamo ammirarne la sua imponenza ancora oggi dai pochi resti rimasti. La vita dei benedettini era regolata dal principio “prega e lavora” (ora et labora). A Cluny era molto sviluppata la preghiera liturgica: si trascorrevano più di otto ore in chiesa, compreso l’ufficio notturno; il resto era dedicato al lavoro, al riposo, al mangiare (in Quaresima, in Avvento e alla vigilia delle feste si mangiava una sola volta al giorno!) e al sollievo. Il lavoro di una parte dei monaci consisteva nello scrivere codici – i libri di allora erano scritti manualmente perché non era stata inventata la stampa – necessari per la liturgia e per lo studio dei monaci. Della permanenza di Alberto in Francia abbiamo la testimonianza di un suo manoscritto autografo, che riporta un inno in onore dell’abate S. Maiolo, fondatore di Cluny, con unita una dedica ai monaci di Pontida. Ritornato a Pontida divenne abate a tutti gli effetti del monastero, che ebbe grande incremento per donazioni e crescita del numero di monaci. Alberto fu delegato da S. Ugo per la fondazione di altri monasteri cluniacensi in Lombardia, come S. Benedetto di Portesana nei pressi di Trezzo sull’Adda e il monastero femminile di Cantù (1093). S. Alberto morì il 2 settembre 1095, dopo l’incontro avuto nella primavera precedente a Milano con papa Urbano II che lo autorizzò alla consacrazione della nuova chiesa di S. Giacomo e confermò i privilegi per tutti i monasteri cluniacensi della Lombardia.
Alla figura di Alberto è abbinata quella del monaco Vito. Era di origine francese, mandato da S. Ugo per reggere il monastero di Pontida agli inizi, prima dell’entrata del fondatore. Quindi più che superiore fu maestro dei novizi e la sua opera fu principalmente spirituale. I corpi di questi due santi furono conservati a Pontida fino al 1373, anno di distruzione del monastero da parte di Barnabò Visconti, signore di Milano e di Bergamo, per vendicare la morte del figlio ucciso dagli abitanti della valle S. Martino che si erano rifugiati nel monastero. I resti dei corpi furono trasportate in S. Maria Maggiore a Bergamo; da qui nel 1911 furono di nuovo ricollocate in Pontida dopo il ritorno dei padri benedettini. Riposte sotto l’altare maggiore il loro culto pubblico fu approvato da Giovanni XXIII, molto legato a Pontida, nel 1961.