Christus Vivit. Padre Giacomo Costa: “Il Papa invita i giovani a mettere in gioco la propria libertà”

“Christus Vivit” è l’Esortazione Apostolica postsinodale di Papa Francesco, firmata lunedì 25 marzo nella Santa Casa di Loreto e indirizzata “ai giovani e a tutto il Popolo di Dio”. Nel documento, che si compone di nove capitoli divisi in 299 paragrafi, il Santo Padre spiega di essersi lasciato “ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo” dei giovani, celebrato in Vaticano nell’ottobre 2018 dal titolo “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Abbiamo chiesto a padre Giacomo Costa, uno dei due segretari speciali del Sinodo dei giovani, direttore dal 2010 del mensile “Aggiornamenti Sociali”, nato a Genova nel 1967, presidente della Fondazione Culturale San Fedele di Milano e vicepresidente della Fondazione Carlo Maria Martini, di commentare alcuni passi salienti dell’Esortazione Apostolica “Christus Vivit”.

«In una Chiesa che vede nel “fare sinodo” o, in parole più accessibili, nel “camminare insieme” la propria cifra identitaria, il testo si pone espressamente nel seguito di tutti i passi precedenti del percorso sinodale – sottolinea Padre Costa – e apre la strada a compierne di nuovi. In particolare si può intendere come una rilettura meditata e dialogica, di particolare significato per la sua autorità, del Documento Finale e dei lavori dell’Assemblea cui Papa Francesco ha personalmente preso parte».

Padre Costa, la “Christus Vivit” contiene l’amore di Papa Francesco per i giovani ma anche l’impegno della Chiesa a raccogliere la loro voce? 

«Sì, Papa Francesco non separa i giovani dal resto della Chiesa, ma attraverso di loro intende rivolgersi a tutti i cristiani. Come l’Assemblea sinodale aveva rimarcato con forza, i giovani sono protagonisti del nostro tempo e membra attive della Chiesa, non oggetto di discorsi che calano su di loro dall’alto».

“Sostenete gli uomini di Chiesa che vedete vacillare”, scrive Bergoglio affidando ai giovani un compito non indifferente, riferendosi agli abusi sessuali nella Chiesa. Che cosa ne pensa?

«Lo sguardo di papa Francesco, pur volendo affrontare seriamente la questione degli abusi sessuali, è decisamente più ampio, secondo quanto hanno chiesto i giovani stessi. L’Esortazione Apostolica riprende, quasi alla lettera, dal Documento Finale del Sinodo dei giovani, la trattazione di tre situazioni che assurgono a cifra della condizione dei giovani (e non solo) nel mondo di oggi, in cui essi stessi possono essere di grande aiuto per tutta la Chiesa. La prima è la crescente pervasività dell’ambiente digitale, con tutte le sue potenzialità come occasione d’incontro e dialogo, ma anche le sue ombre e i suoi rischi di manipolazione e sfruttamento. La seconda è la condizione dei migranti, autentico paradigma del nostro tempo e della condizione dei credenti, che la Lettera agli ebrei definisce “stranieri e pellegrini”. Il terzo nodo affrontato è poi l’emergenza degli abusi, rispetto a cui si ribadisce, anche sulla scorta dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” (21-24 febbraio 2019), la necessità di trasparenza, l’impossibilità di fare marcia indietro in materia di misure di prevenzione e la richiesta ai giovani di collaborare per trasformare questa crisi in un’opportunità di autentica riforma della Chiesa. Gli abusi comunque vanno anche intesi in maniera più ampia: oltre a quelli sessuali bisogna lottare anche contro quelli di potere, di coscienza e quelli economici».

Nel quarto capitolo dell’Esortazione Apostolica, Papa Francesco annuncia tre grandi verità a tutti i giovani. La prima: “Dio che è amore” e dunque “Dio ti ama, non dubitarne mai”. La seconda verità è che “Cristo ti salva”. La terza è che “Egli vive!”. È questa terza verità che contiene il significato più profondo dell’Esortazione Apostolica? 

«Queste tre affermazioni insieme, come articolazione dell’annuncio di fede sono il cuore e il fulcro dell’intera Esortazione, che rendono ragione anche del suo titolo. Papa Francesco mostra così nella pratica che cosa significa attuare il n. 133 del Documento Finale, che ribadiva la centralità dell’“annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto, che ci ha rivelato il Padre e donato lo Spirito” come dono irrinunciabile da offrire ai giovani e come questo sia intrinsecamente anche una chiamata, che scuote e invita a mettere in gioco la propria libertà. A ciascun giovane, nelle circostanze concrete in cui si trova, la Chiesa non ha altro da offrire se non l’incontro con quel Dio vivo che essa continua a sperimentare come amore, come salvezza e come fonte di vita, sapendo che sarà questo incontro a dischiudere nuove possibilità di orientamento per la vita di ciascuno, cioè a diventare chiamata e vocazione. Siamo così al cuore di un vero e proprio cammino di discernimento vocazionale, che era nel titolo del Sinodo («I giovani, la fede e il discernimento vocazionale»): si tratta di cogliere quali passi concreti della propria vita sono abitati da una risposta autentica alla voglia di vita che la giovinezza porta con sé e che il Signore suscita, sostiene e incoraggia, o quali passi invece sono frutti di un inganno che manipola e asservisce. Entrare in un’autentica relazione di salvezza e di amicizia con il Signore offre ai giovani (ma anche ai meno giovani) la prospettiva in cui considerare i propri itinerari e le decisioni che si è chiamati a prendere, da quelle legate all’impegno professionale, sociale e politico, a quelle che riguardano la configurazione complessiva dell’esistenza».

L’esortazione Apostolica invita anche a intraprendere cammini sinodali? 

«Certamente. Papa Francesco scrive che “la pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una “valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità”. Nella “Christus Vivit” spesso sono chiamate in causa le comunità e le Chiese locali, invitate a dar vita a processi sinodali che includano i giovani. Più che manuali teorici, servono occasioni in cui mettere a frutto l’ingegno e le capacità dei giovani stessi, ossia un approccio dal basso anziché dall’alto, avendo cura di raccogliere e condividere quelle buone pratiche coronate da successo. Anche per le Chiese questo invito a fidarsi dei giovani contiene una sfida, lasciare loro spazio, e richiede il coraggio di mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. Vi sono dunque delle responsabilità a vari livelli: tutti i giovani, ogni credente, la comunità locale, i movimenti e le Congregazioni religiose, ogni singola Diocesi. Perfino alle Conferenze Episcopali e ai Dicasteri Vaticani è chiesto di mettersi in stato di conversione e di rinnovamento».