Lo sguardo pieno di fiducia dei bambini: ma a un certo punto il meccanismo s’inceppa

Esattamente quand’è che il meccanismo si inceppa? L’attimo esatto nel quale la prospettiva cambia, lo sguardo sugli altri si restringe, l’abbraccio muore prima ancora di nascere? Sì, insomma, mi piacerebbe scoprirlo. Perché, se osservi bene i bambini, ti rendi conto che fino a una certa età tutto funziona a meraviglia.

A quattro anni sei felice se riesci a insegnare qualcosa alla tua sorellina più piccola, sei fiero di te se ciò che fai può tornare utile anche agli altri. L’invidia è qualcosa che non ti tocca più di tanto. Pensi a te stesso, vuoi giocare, star bene, essere felice. E se anche l’altro è fortunato e ancor più felice di te…beh, buon per lui. Anzi, quasi quasi provi a fartelo svelare, il suo segreto.

A quindici anni il meccanismo è già inceppato. Il bicchiere diventa mezzo vuoto, l’amica è anche rivale, l’amico è più furbo che intelligente, i tuoi genitori da ragazzi vivevano senza dubbio meglio di te. Desideri ciò che non puoi avere, non ti accontenti, l’entusiasmo lo riservi a poche e rare occasioni.

E non è che diventando adulti la cosa migliori di molto. Magari col mondo un po’ fai pace, ricerchi l’equilibrio, impari che con la rabbia non si arriva lontano. Ma l’invidia, la gelosia, l’indicibile istinto a voler emergere più dell’altro, il bisogno di riconoscimento…beh, quelli restano. E si rafforzano con un altro atteggiamento che la maturità coltiva: la diffidenza.

Da piccolo ti fidi. Apri le braccia, sorridi al mondo. Sei fiducioso che, in un modo o nell’altro, qualcuno si prenderà cura di te, troverai un amico, ci saranno la mamma e il papà accanto. Poi la vita ce la mette tutta a fartela passare, tutta questa fiducia. Delusioni e disillusioni, a partire dalla scoperta che i tuoi genitori sono umani e fallibili, mazzate al cuore che solo amando follemente si provano e riprovano, ingiustizie che sei certo di ricevere su più fronti spudoratamente. E le braccia si serrano, la capacità di accogliere l’altro e di credere profondamente in lui si opacizza. Tenue tenue, la linea che unisce.

Ed è un peccato, perdere lo sguardo che si ha da bambini. Lo capisco ora, guardando i miei figli mentre giocano, mentre litigano, mentre fanno la pace, mentre insieme leggono e imparano a scrivere. Sono autentici, senza sfumature inventate per dare all’altro un’idea migliore di se stessi. Spesso sono cattivi, sono egoisti, sono capricciosi. Ma sono veri, si mettono in gioco, si aprono al mondo. E all’altro vogliono un gran bene. Perché senza un amico, senza il fratellino, senza la sorellina, senza la mamma, senza il papà, sanno già ora che la vita sarebbe più triste. Il loro è un abbraccio vero, di quelli dei quali, soprattutto da adulti, avremmo tutti un gran bisogno.