Speranza e gioia: la testimonianza di Veronica Yoko

Silenzio assoluto. Seduta sui tavoli bianchi dell’aula Santa Chiara della parrocchia di Grumello, dinanzi a circa 60 adolescenti con i loro educatori dell’Oratorio, diversi genitori, qualche ragazzo di terza media di Telgate e alcuni insegnanti delle nostre scuole medie, c’è una ragazza. Capelli lunghi e lisci. Sorriso splendido.

A 15 anni, una terribile malattia

Lei è Veronica Yoko Plebani, 23 anni. A 15 anni la sua vita è cambiata radicalmente: la meningite fulminante batterica la colpisce; ricoverata in ospedale, perde quasi tutte le falangi delle mani e dei piedi. Le cicatrici che quella malattia lascia segnano il suo corpo, come Bebe Vio, che lei ben conosce, perché anche lei è un’atleta paraolimpica. E che atleta! Ha vinto campionati nazionali e mondiali con la canoa, è appassionatissima di snowboard anche se attualmente si dedica al triathlon: si sta allenando duramente per inseguire il suo sogno, le Olimpiadi di Tokyo nel 2020.

Ride raccontando delle sue ultime gare “un po’sfigate”. In Australia la rottura di una protesi la costringe al ritiro, a Bari a fermarla è un nonnetto che passa con la sua graziella e le taglia la strada proprio mentre lei sta affrontando la parte del triathlon che si corre in bicicletta.

“Voglio morire”. Poi l’assalto degli amici

Guarda gli adolescenti presenti, fa domande e stimola le risposte. E parla di sé. Nessuno fiata. La malattia, l’ospedale. Mamma e papà. Con la mamma lo sfogo, il pianto, il “voglio morire”, il “perché proprio a me che non ho fatto nulla di male”; col papà la grinta, la voglia di tornare alla vita quotidiana, di spaccare il mondo. Complementarietà nell’amore dei genitori, necessari al vivere. Poi, il ritorno a casa. In macchina, a Palazzolo. Quella voglia di fare un giro in piazza, con la paura di essere vista, con quelle cicatrici. Cosa direbbero, cosa farebbero? Ebbene, quel giorno, nella piazza di Palazzolo sull’Oglio, c’è il mondo. E tutti i suoi amici, che sono lì per caso, anche quelli che tra loro non si frequentano. Vedono la macchina del papà, intravedono la figura di Veronica Yoko seduta con lui.

Assalto. E tanta gioia, perché lei è viva ed è tornata con loro. Certo, non è stato facile: accettare quella condizione particolare, a volte lo sguardo diffidente della gente che fa di tutto tranne che l’unica cosa che dovrebbe fare, avvicinarsi e chiedere “Cosa è successo? Come stai?”. E’ faticoso. Meno male che ci sono i bambini che, nella semplicità che contraddistingue la loro tenerezza, chiedono “Cosa ti sei fatta? Ma adesso stai bene? Benissimo, a posto allora!”, e ti dicono, anche senza le parole, che tu vali, e vali molto. Perché sei ciò che sei e ciò che con fatica hai voluto diventare. Veronica è una persona a cui la vita ha chiesto di crescere in fretta: ascolto con attenzione, colgo dietro la sua giovane età i tratti di un’umanità vera e uno spirito profondo. Penso.

E io prete mi sento un bambino accanto a un gigante

Quanta gioia e quanta speranza sprizza questa ragazza? La dolcezza con cui risponde alle domande dei ragazzi, la semplicità dei modi. Penso al fatto che, come ha ricordato Stefano, l’educatore adolescenti che la conosce e l’ha contattata per noi, non ha fatto a tempo  a porle la domanda: “Veronica, verresti a..?” e già lei aveva risposto “Sì!”, nonostante i suoi impegni, nello sport e nella vita di studio, a Bologna, dove presto conseguirà la laurea triennale: è la disponibilità di chi sa fare della sua vita un dono. Che bello sentirla raccomandare con forza e convinzione ai ragazzi che studiare è importante e vale la pena far fatica, accompagnando la serietà della raccomandazione all’ironia che le fa dire “adesso penserete che sono vecchia perché vi dico di studiare, lo so io!”.

Accanto a me siede Ignazio, coordinatore degli educatori adolescenti: “Don, alla fine fai due parole, mi raccomando!”. Devo ringraziarlo perché, per come sono di carattere, non penso le avrei fatte, credo non me la sarei sentita… Stavo bene in ultima fila a interiorizzare quanto Veronica mi aveva insegnato. Mi alzo, percorro la sala e mi avvicino a Veronica. Stefano, che ha appena illustrato benissimo il percorso con i ragazzi di seconda superiore che ha portato a incontrare Veronica, mi passa il microfono. Veronica mi saluta sorridente. Ricambio e mi giro verso i miei ragazzi. Mi sento come un bambino accanto a un gigante.

Che devo dire? “Mi ero ripromesso di non predicare più fino a domani, ragazzi… e infatti non predico. Faccio la cosa più bella del mondo: dico grazie. Grazie a Veronica. Se apriamo i giornali, in questi giorni, che immagine emerge di voi ragazzi? Come venite dipinti? Come quelli che fanno del male, che non sanno e non sanno fare… Dobbiamo cambiare tutto! Stasera ne sono ancora più convinto. Dobbiamo guardare il bene, dobbiamo guardare i tanti esempi positivi che spesso rimangono nascosti, dobbiamo guardare i giovani che realizzano la loro vita. Sono testimonianze che ci fanno bene! Stasera, Veronica, ci hai fatto del bene! Grazie!”.

L’incontro termina. Veronica saluta tutti. Insieme alle mie compagne di università Federica e Miriam (quante risate all’università, e quanto hanno riso loro ai miei esami per il mio gesticolare nel rispondere al docente… Beata gioventù… Beh hanno dieci anni meno di me!). Scattiamo una foto con Veronica. Avrei molto altro da raccontare, ma mi fermo qui. Io auguro di cuore ogni bene a Veronica, spero il suo sogno olimpico si realizzi.

Una cosa è certa, la vita le ha già dato la medaglia  più preziosa, quella riservata a chi, superate prove impegnative, sa portare gioia e speranza. E lei l’ha condivisa con noi. Grandezza di una giovane di soli 23 anni.