La grande ignoranza della politica. Irene Tinagli al Bergamo festival: “La fretta ci spinge a semplificare troppo”

È iniziato il 15 maggio e prosegue fino al 19 il Bergamo Festival Fare la pace edizione 2019, il cui tema è “In nome del popolo sovrano. Inquietudini, sogni e realtà”. Un tema forte, attuale, dal significato profondo, che riguarda tutti noi, popolo sovrano e politica, nome che deriva dal greco politikḗ (tékhnē) “arte di governare”. Nel nostro Paese nel corso degli ultimi anni questa “arte di governare”, si è un po’ persa per strada, mancando il suo significato originario.

Tra gli interventi più attesi del Bergamo Festival Fare la pace 2019 è quello di Irene Tinagli dal titolo “La grande ignoranza, talento e saperi nella politica italiana”, che avverrà sabato 18 maggio alle 16 a Bergamo Alta in Piazza Vecchia. Modererà l’intervento Riccardo Nisoli, responsabile del Corriere della Sera – Bergamo.

Abbiamo intervistato Irene Tinagli, già editorialista de “La Stampa”, autrice di alcuni libri, che hanno al centro la riflessione sulla valorizzazione del talento, e del recente “La grande ignoranza.  Dall’uomo qualunque al ministro qualunque, l’ascesa dell’incompetenza e il declino dell’Italia” (Rizzoli 2019). La professoressa Tinagli dopo aver lavorato come consulente delle Nazioni Unite e della Commissione europea, dal 2013 al 2018 è stata parlamentare alla Camera dei Deputati.

Professoressa Tinagli, perché gli italiani hanno perso fiducia nella politica e sembrano come assuefatti alla grande ignoranza che impera in campo politico, documentata nel suo libro dalla sua esperienza diretta e dalle informazioni raccolte in un  database su tutti i membri della Camera dei deputati e dei governi dal 1948 a oggi? 

«La perdita di fiducia è legata a una progressiva incapacità di dare risposte a problemi concreti, che poi è legata a molti fattori. L’accorciarsi dei cicli politici che sono sempre più brevi, non danno tempo anche di approfondire e di aspettare che certe politiche abbiano un lungo respiro, un impatto. La perdita di fiducia è anche legata a un clima culturale complessivo che ha favorito questa “grande ignoranza”, c’è un clima in cui non solo la politica ha smesso di approfondire o si sono accorciati i tempi della politica, ma anche la comunicazione, la televisione, i social media. Tutto è diventato molto superficiale, molto rapido, molto orientato all’impatto immediato sulle emozioni e sulle reazioni delle persone e poco orientato ai risultati concreti, all’approfondimento, al ragionamento. C’è una ipersemplificazione che va a danno della comprensione e della complessità dei fenomeni».

Dal 2013 al 2018 ha avuto l’opportunità come deputato di frequentare il Parlamento e ha potuto costatare da vicino i meccanismi e le logiche che determinano le attività, le priorità e le carriere della classe politica nostrana. Che cosa l’ha colpita di più? 

«La cosa che mi ha colpito di più e che mi ha spinto a scrivere il libro è lo scarso collegamento tra le competenze, l’impegno che molte persone portano in politica e le loro carriere, i loro riconoscimenti. All’interno della politica vi è scarsa meritocrazia, questo viene fuori dalle analisi, i riconoscimenti e gli incarichi politici molto raramente sono legati alle competenze, alla produttività parlamentare. Pensando alla domanda precedente, anche questo ha fatto perdere fiducia nella politica. Se non sei in grado di mettere in posizioni rilevanti persone che non sono effettivamente capaci, meritevoli e che lavorano con serietà, preparazione e impegno, la fiducia dei cittadini crolla. Questo è un vero problema che mi ha colpito molto».

“Presidente! Se mi ascolterebbe, per favore!”, è l’incipit dell’intervento in Parlamento di una deputata della Repubblica nel corso della XVII legislatura. Come siamo arrivati alla situazione attuale, dove l’incompetenza e in questo caso, anche l’ignoranza, regna sovrana?

«L’incompetenza è diventata un merito, ora una persona che non si è mai sporcata le mani con la politica o un’altra attività, perché ora sono messe sotto accusa le imprese, le associazioni no-profit, le cooperative, chiunque abbia fatto qualcosa, ha qualcosa da nascondere e per questo è messo all’indice. Quindi l’unica strada per candidarsi in politica è quella di non aver mai fatto niente. È un indice di freschezza, di purezza, il fatto che una persona non abbia nessun tipo di esperienza lavorativa, l’unica garanzia che l’aspirante candidato/a sia puro/a. Da qui l’idea di incompetenza come sinonimo di purezza, assurta a valore. Però facendo così ci ritroviamo con delle persone, che magari sono persone perbene ma che non hanno nessun tipo di preparazione e di bagaglio in grado di affrontare la complessità della politica. Non possiamo far finta che la politica sia una cosa che si può improvvisare. No, la politica è una cosa molto complessa. Il disgregarsi dei partiti ha fatto perdere molti percorsi di formazione. Occorre avere esperienza politica, capacità di misurarsi con una serie di problemi e confrontarsi con le persone, occorre capacità di fare sintesi, conoscere realtà sociali, non basta solo il titolo di studio, se si ha. Ecco, oggigiorno, questa serie di elementi e di esperienze si sono persi un po’ tutti. Un tempo la classe politica attingeva anche a dei corpi intermedi, pensiamo al contributo dell’associazionismo cattolico in termini di contenuti e di figure autorevoli. Penso anche ai sindacati, c’era un contributo di vari organi e di varie associazioni alla formazione della coscienza politica nella parte politica. Tutto questo oggi è stato talmente sminuito, denigrato, frammentato che ha perso questa capacità. Così come noi abbiamo perso la capacità di valorizzare questi percorsi».

Paradossalmente le capacità sono diventate una colpa, l’inesperienza è un valore aggiunto e così, davanti agli occhi di tutta la pubblica opinione, il Parlamento sta diventando un ritrovo di dilettanti, dove impera l’improvvisazione. Un tempo le classi dirigenti venivano selezionate in base alle competenze, oggi? 

«Oggi purtroppo è tutto molto legato alla fedeltà che è sempre stata importante in politica ed è anche normale che sia così, perché ci vuole un rapporto fiduciario. Un tempo le persone che facevano politica solo per fedeltà non riuscivano ad avere ruoli al governo di grande responsabilità sulla parte operativa ed esecutiva. Trent’anni fa sarebbe stato impensabile che un partito che fosse stato la DC o il PCI scegliesse persone che non parlassero l’italiano per fargli fare il ministro, per intenderci. Magari venivano aiutati a crescere politicamente e a loro venivano affidati poteri a livello locale. C’era un percorso, c’era una formazione che portava persone preparate e con esperienza ad assumere posizioni apicali. Oggi no, quello che conta è portarsi dietro i propri “fedelissimi” per tutto il percorso e quando c’è l’opportunità di spartirsi dei posti, metti loro o gli amici di questi al posto di altri e tutto questo diventa un problema, perché impoverisce la politica. Un tempo la fedeltà era intesa come fedeltà a delle idee o a delle ideologie, oggi è una fedeltà al capo, al capo-corrente, al capo-partito. C’è come una “personalizzazione” di questa fedeltà».

Un capitolo del libro “La grande ignoranza” è intitolato “Donne: una rivoluzione a metà”. Ce ne vuole parlare in breve? 

«Ѐ la constatazione di come la politica abbia cercato di rinnovarsi e di rinnovare anche iniettando una dose massiccia di presenza femminile in Parlamento, perché quello italiano è uno dei Parlamenti più “femminili” nel panorama occidentale, però non siamo riusciti a esprimere un grande cambiamento. I criteri di selezione, anche per le donne così come per gli uomini non sono cambiati tantissimo. Le donne con più esperienza professionale alle spalle, le più “toste” tendono a essere più penalizzate mentre si preferiscono figure femminili più giovani. Le statistiche dicono che le donne che vengono scelte sia per entrare per il Parlamento sia per far parte del governo sono molto giovani e minore affermazione professionale ovviamente e questo toglie loro un po’ di forza, perché rispetto ai colleghi uomini devono fare più strada. Ciò non aiuta le donne a essere incisive in politica. Dobbiamo recuperare non solo la presenza femminile in politica ma anche la forza e la competenza femminile».

Innovazione, creatività, valorizzazione del talento: il nostro Paese sembra mettere queste parole al primo posto quando si parla di giovani e futuro, salvo poi lasciarle in retroguardia quando si parla di scelte politiche. Se è vero che a pagare il prezzo è tutto il Paese, come far uscire l’Italia dalla deriva nella quale si trova?

«Ѐ molto difficile, nel libro provo a fare alcune piccole proposte come responsabilizzare di più i politici che si propongono al governo sottoponendoli al vaglio di una commissione che ne valuti i programmi e la preparazione, come avviene negli Stati Uniti e si chiama “processo di conferma”. Ma non basta, dobbiamo reagire tutti noi, se i cittadini cominciassero pian piano a non farsi più irretire dagli slogan, dalla propaganda, dalle risposte troppo facili e immediate e cominciassero a pretendere dalla politica maggiore serietà e preparazione. Se i cittadini iniziassero a pretendere più serietà, impegno e preparazione da chi ci governa, forse anche i partiti e la politica comincerebbero a cambiare rotta. Ѐ quello che mi auguro ed è quello che spero di fare con il libro: sollevare un problema per scuotere le persone e motivarle a reagire».