L’amore non è spensierato. Al contrario: costa

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito (vedi vangelo di Giovanni 13, 33-35)

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Il brano fa parte del lungo “discorso di addio” che Gesù fa ai suoi amici, durante l’ultima cena. Una specie di testamento.

Gesù, l’ultima cena, il “testamento”

Giuda ha appena uscito e sta andando verso i sommi sacerdoti per “consegnare” Gesù. Gesù sa di dover morire e parla della sua morte. Ne parla però in maniera inattesa. Dice che lui, “figlio dell’uomo” (è il titolo con il quale Gesù si definisce correntemente) “è stato glorificato”. Non solo ma anche Dio, il Padre “è stato glorificato in lui”. Gesù dunque parla di “gloria” nel momento in cui deve prendere atto della morte: la morte stessa è “gloria”. Gloria nel quarto vangelo è lo svelarsi dell’identità divina di Gesù e del Padre. Ora quella identità, quella “gloria”, si svela non solo nella pasqua, ma già nella morte. La morte di Gesù, infatti, svela quanto Dio ama il mondo. Per questo, nello stesso vangelo di Giovani, Gesù afferma: “Quanto sarò innalzato attirerò tutti a me”. Quell’innalzamento non è solo quello del Risorto che “sale” al Padre, ma quello del crocifisso issato sulla croce.

Il “comandamento nuovo”

Intanto Gesù “innalzato”, “glorificato” lascia un “comandamento nuovo”: che vi amiate gli uni gli altri: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. È nuovo questo comandamento non nel senso che prima non esistesse, ma nel senso che il comandamento dell’amore diventa più esteso e più profondo di quanto non lo fosse finora. Già il libro del Levitico (18, 19) diceva di amare il prossimo. Ma la misura di quell’amore era colui stesso che amava: ama il prossimo tuo come te stesso. Adesso Gesù cambia il riferimento dell’amore. Non si deve più amare soltanto come se stessi, ma amare come ha amato lui: lui sta per dare tutto. Il discepolo deve fare come lui. E se i discepoli saranno capaci di fare come lui, il loro dono “parlerà”, testimonierà, dirà in maniera vitale come Dio ci ha amato, proprio perché anche noi, i discepoli, siamo capaci di amarci come ha amato lui.

L’amore comandato

Gesù comanda di amare. L’amore è frutto di un comando, di un ordine. Dovete amare. Questo amore “comandato” rimanda a un tema che non è facile, ma che è decisivo. L’amore evangelico non è un amore spensierato. Non può essere spensierato l’amore di uno che dà la vita e per di più la dà su una croce. Per questo quell’amore deve essere voluto da chi lo vive e comandato da chi l’ha vissuto per primo.
Questo rimanda agli aspetti “faticosi” dell’amore cristiano. L’amore spesso non è capito e chi ama è costretto ad amare senza sperare molto di essere riamato. Per questo si ama perché si deve, perché un comando ci dice che dobbiamo amare.
Si può pensare a tutti gli aspetti “nascosti”, senza smalto dell’amore: quelli della vita quotidiana, delle sofferenze senza consolazioni, delle malattie vissute in solitudine… In termini evangelici, si potrebbe dire che sono i gesti amorosi di Nazaret, quelli della vita nascosta, quelli sconosciuti. Talvolta quegli amori sconosciuti vengono alla luce, ma la luce che si accende su di essi ne rivela la fatica. Si vedono, ma si vede che costano.
Gesù sa che costano, ma sa anche che sono gloria, nonostante. Tanto che ne parla come se tutto fosse già avvenuto. Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui.