Migranti. Belluccio (Asgi): “Esposto contro Ue a Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità è un fatto gigantesco”. Sarà presentato alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja un esposto che accusa l’Unione europea e gli Stati membri di “crimini contro l’umanità” per le politiche migratorie che hanno causato morti in mare e i respingimenti in Libia attraverso la pratica dell’esternalizzazione delle frontiere: si tratta di un documento di 250 pagine elaborato dall’esperto di diritto internazionale Juan Branco, che ha lavorato in passato alla Cpi e Omer Shatz, avvocato israeliano che insegna all’università Sciences Po di Parigi. La denuncia prende in esame il periodo dal 2014 – anno della chiusura dell’operazione “Mare nostrum” – ad oggi, una scelta che ha trasformato il Mediterraneo centrale nella “rotta migratoria più letale al mondo”, con oltre 14.500 persone morte fino alla fine di luglio 2017. L’esposto cita messaggi diplomatici e commenti di leader nazionali, tra cui politici italiani, tedeschi e francesi. L’ufficio della procura dell’Aja dovrà decidere ora se acquisire la denuncia, un primo passo che potrebbe portare all’apertura di una inchiesta. Nel frattempo sei Paesi europei – Portogallo, Irlanda, Romania, Francia, Germania e Lussemburgo – si sono resi disponibili ad accogliere alcuni dei 100 migranti sbarcati a Genova dalla nave della Marina militare. Per Dario Belluccio, avvocato, membro del consiglio direttivo dell’Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione), l’esposto alla Corte penale è “un fatto gigantesco”: se l’inchiesta venisse aperta costituirebbe “un precedente unico”. Una portavoce della Commissione europea non ha voluto commentare “procedure che ancora non sono cominciate” ma ha affermato che “salvare le vite umane nel Mediterraneo resta una delle nostre principali priorità”.
Come valuta questo esposto alla Corte penale internazionale?
È un fatto gigantesco. Noi anche ci siamo interessati della questione dei respingimenti indiretti e ce ne stiamo ancora interessando. Riteniamo che indubbiamente possa essere configurata una responsabilità, in particolar modo dell’Italia, per quanto configurato a seguito degli accordi del 2017 con il governo libico di Fayez al Sarraj e tutte le attività successive.
Sta parlando di responsabilità italiane riguardo all’esternalizzazione delle frontiere?
Certo. Da questo punto di vista sono state depositati da alcuni avvocati di Asgi alcuni ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo in favore di diversi cittadini stranieri che abbiamo incontrato: hanno testimoniato che nonostante avessero chiamato le autorità italiane mentre erano in una situazione di pericolo in alto male, sono stati invece intercettati dalla cosiddetta guardia costiera libica e rinviati in Libia. Fortunatamente queste persone sono riuscite a salvarsi e a fare rientro nei loro Paesi di origine attraverso i programmi di rimpatrio assistito dalla Libia. C’è una questione che emerge pochissimo ed invece è fondamentale: quella della responsabilità di uno Stato per i crimini commessi da un altro Stato. E’ l’articolo 16 del progetto di articoli sulla responsabilità dello Stato della commissione del diritto internazionale che fa riferimento ad una norma che pare avere natura consuetudinaria, per cui applicabile. Questo articolo dice che uno Stato è corresponsabile se è a conoscenza ed agevola un altro Stato nella commissione di crimini previsti e punibili dal diritto internazionale, quindi questa complicità è sostanzialmente equiparata alla commissione del crimine. Il punto è questo: se l’Italia – e dispiace dirlo perché ci riguarda – è consapevole di quello che avviene ed agevola quegli avvenimenti attraverso la fornitura di supporto logistico, tecnico e conoscitivo ad un altro Stato, questo deve necessariamente comportare una denuncia di responsabilità da parte dell’Italia. Il progetto di diritti sulla responsabilità degli Stati è molto importante e significativo sotto questo punto di vista.
In passato le sentenze della Corte penale internazionale non hanno avuto grande efficacia, pensiamo a Omar al-Bashir in Sudan. Cosa significherebbe, invece, avviare una inchiesta sulla Ue – Italia compresa – in questo momento?
La rilevanza di una vicenda del genere è che stiamo parlando dell’Italia e dei più alti rappresentanti a livello europeo. Non stiamo parlando di Gheddafi o al-Bashir. Stiamo parlando di uno dei Paesi fondatori dell’Unione europea, uno dei Paesi che più ha contribuito, dopo la seconda guerra mondiale, alla diffusione e crescita della democrazia nel mondo, volendo costituire un esempio. La nostra Costituzione e il nostro sistema democratico testimonia questo. L’accostamento a regimi dittatoriali di per sé è qualcosa che fa rabbrividire, perché noi queste cose le abbiamo già passate e superate. Il fatto che oggi qualcuno dica: l’Italia potrebbe aver commesso dei reati per i quali possono essere condannati e perseguiti dalla Corte penale internazionale fa spavento.
Ci sono possibilità che l’esposto venga accettato dalla Corte penale internazionale?
Da quel che ho letto sui giornali credo che l’esposto sia sicuramente ben strutturato. Mi sembra molto documentato. Tra le denunce degli ultimi mesi ci sono anche tutte le ultime raccomandazioni e lettere inviate dagli Special Rapporteurs delle Nazioni Unite molto rilevanti, anche se vengono minimizzate.
Seguirete l’iter dell’esposto?
Lo seguiremo come associazione interessata a queste vicende e come giuristi che tengono alla democrazia e alla tenuta dello stato di diritto.
Se fosse avviata l’inchiesta sarebbe un precedente…
Sarebbe un precedente unico.
Anche perché in passato molte inchieste sono state aperte dopo che i fatti sono stati commessi e non mentre sono ancora in corso.
Parliamo di qualcosa che indubbiamente è già avvenuto e continua. I numeri forniti dalle Nazioni Unite su quello che è avvenuto e avviene nel Mediterraneo sono sotto gli occhi di tutti. Non possiamo dimenticare che nel 2013 fu proprio a seguito di due gravissimi naufragi nel Mediterraneo che venne realizzata l’iniziativa “Mare nostrum” con il contributo dell’Ue.
L’esposto cita anche la decisione di espellere le navi delle Ong dai salvataggi nel Mediterraneo.
Credo sia un percorso iniziato tanti anni fa che ha visto progressivamente le autorità e le istituzioni dell’Italia e dell’Ue ritrarsi rispetto a precisi obblighi giuridici, che sono quelli di salvare le persone e di garantire loro il diritto alla vita, prima di qualsiasi altra questione. A fronte di questo se il ritrarsi viene seguito dall’intervento delle navi private, e poi questo privato viene esplicitamente contrastato, noi dobbiamo leggere il percorso, che origina almeno dal 2017 e culmina oggi nella discussione del decreto Salvini bis. E’ evidente che c’è la possibilità di leggere in maniera continuativa una serie di fatti che singolarmente non possono essere posti sullo stesso piano ma che complessivamente non sfuggono alla storia.
Patrizia Caiffa