Ramy Shehata e Adam El Hamami, cittadini italiani “per merito”: storia a lieto fine che mette “prima le persone”

Ramy Shehata ha 13 anni ed è nato in Italia da genitori egiziani, che vivono nel nostro Paese dal 2001, lavorano, si sono integrati. Sul suo futuro ha le idee chiare: “Da grande vorrei fare il carabiniere, oppure, se non ce la facessi, il farmacista”. Adam El Hamami ha 12 anni, anche lui è nato in Italia in una famiglia di origine egiziana, porta gli occhiali, sorride in modo timido: è tifoso del Milan e sogna di diventare calciatore. Ormai conosciamo bene i loro volti e le loro storie, rimbalzate nei Tg, sul web, in tv, perché il 20 marzo scorso con una cinquantina di compagni di scuola erano a bordo di un autobus sequestrato e incendiato dal suo autista nel tentativo di compiere un attentato eclatante.

A salvare la situazione, senza che nessuno si facesse male, è stata la prontezza con cui Ramy e Adam sono riusciti ad avvertire il 112 e i genitori senza farsi scoprire dal sequestratore. Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri nell’ambito dell’approvazione del “decreto sicurezza bis” ha deciso di concedere ai due ragazzi la cittadinanza italiana per meriti speciali. I genitori hanno accolto la notizia con gli occhi che brillavano d’emozione, non solo per il fatto in sé, per il senso di sicurezza e di stabilità che offre al futuro dei figli, ma “perché non è un atto burocratico qualunque, è stato ottenuto con onore” come ha detto la mamma di uno dei due ragazzini.

Nella società contemporanea siamo abituati a considerare le persone in termini di costi e di rendimenti più che di valore umano, ed è un male: ci impedisce di vedere gli altri come possibilità, come risorse, come orizzonti e non semplicemente come zavorre da rilanciare in mare. Non accade soltanto con gli immigrati, è una deriva antropologica globale, che a volte si realizza perfino nelle comunità cristiane.

Questa è una storia a lieto fine, promettente per tutti, non solo per le famiglie coinvolte, capace per una volta di sostituire agli slogan che creano differenze e separazione come “prima gli italiani” parole diverse come “prima le persone”, prima il valore e le azioni, prima il bene che ognuno è capace di compiere, indipendentemente dalla razza, dalla cultura, dalle tradizioni e dal colore della pelle.