L’Eucarestia, la fratellanza che dovrebbe esserci e quella che non c’è

Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me» (Vedi 1 lettera ai Corinizi 11, 23-26)

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La comunità cristiana nasce dalla pasqua e si prolunga attorno a un tavolo

Festa del Corpo del Signore. Si parla, si deve parlare di eucarestia e di messa. Le tre letture di questa festa, parlano di eucarestia, ma ne parlano soprattutto di sbieco, indirettamente, per interposti simboli. Per la prima lettura è inevitabile: l’eucarestia viene soltanto con Gesù. Il pane e il vino che il misterioso personaggio di Melchisedek offre è solo una soffusa allusione a quello che sarà. Anche il vangelo che di solito è il centro della riflessione cristiana non parla di eucarestia, ma di pane, seppure miracolosamente moltiplicato.

Dell’eucarestia parla invece la seconda lettura, tratta dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi. Ed è notevole. Il testo viene datato, di solito, alla metà degli anni 50, poco più di una ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù. È uno dei più antichi degli scritti del Nuovo Testamento: Marco, il vangelo più antico dei quattro, pare sia stato scritto un po’ prima degli anni 70. E Paolo dice “io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”. Dunque Paolo non parla di qualcosa di cui è venuto a conoscenza quando scrive, ma di qualcosa che ha già ricevuto, prima. Quando? Difficile dire. Si può soltanto ricordare che Paolo si converte poco dopo gli anni 30, cioè pochi anni dopo la morte e risurrezione di Gesù.
Dunque ciò che Paolo trasmette ai suoi interlocutori di Corinto è un “gesto identitario” della comunità cristiana che coincide con la sua storia. I cristiani nascono dalla pasqua e prolungano quell’atto di nascita attorno a un tavolo dove si mangia il corpo del Signore e si beve il suo sangue.

La sproporzione fra ciò che si vede e ciò che si riceve

Da notare che il cuore di quel gesto è qualcosa di inconsistente, di banale: pane e vino.La memoria viva del Signore è affidata a delle “derrate alimentari”. La sproporzione fra le derrate alimentari e il corpo-sangue del Signore è enorme. Per questo il mistero dell’eucarestia viene alluso più che descritto, se ne parla di sbieco perché ci supera. Il Signore entra nella vita dei suoi amici attraverso qualcosa di banalmente quotidiano: pane e vino. Dunque non è il Signore che rivendica la sua lontananza, ma che offre, al contrario, la sua vicinanza.

Da una fraternità donata a una fraternità da costruire

Tutto quello che Paolo ricorda e quello che raccomanda di fare “in memoria” è al plurale: “Fate questo in memoria di me, fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate...”. In altre parole: il gesto identitario della comunità cristiana o è comunitario o non è. L’eucarestia nasce dalla fratellanza di Gesù con i suoi amici di allora e crea fratellanza con gli amici di adesso. E questi sono inviati a creare, a loro volta, fratellanza con tutti gli uomini che incontrano. Il mondo nuovo che nasce dall’eucarestia è un mondo conviviale.
Forse si capisce che la Chiesa divisa e in crisi è anche una chiesa che coltiva poco l’eucarestia. E questa mancanza rimanda, continuamente e necessariamente, a quella.