Porti chiusi alle armi, non alle persone

Sui nostri giornali se ne è parlato davvero troppo poco. Il 21 maggio scorso dal porto di Genova la nave-cargo dell’Arabia Saudita – Bahri Yanbu – che avrebbe dovuto caricare materiale bellico di produzione francese e italiana è partita senza essere riuscita a portare armi a bordo. E’ il risultato di una mobilitazione a livello europeo e soprattutto allo sciopero indetto dai lavoratori portuali – sostenuti dai sindacati – che si sono rifiutati di trasferire il carico.

Lo strano viaggio della nave saudita

La nave – che appartiene alla maggiore compagnia di shipping saudita, la Bahri, società controllata dal governo saudita che dal 2014 ha il monopolio della logistica militare di Riyadh – era uscita all’inizio di aprile dal porto di Corpus Christi negli Stati Uniti, facendo scalo nel grande terminal militare di Sunny Point, nel Nord Carolina. Arrivata in Europa, il 4 maggio avrebbe imbarcato ad Anversa sei container di munizioni per proseguire l’8 maggio verso il porto di Le Havre, dove la mobilitazione degli attivisti ha impedito che caricasse otto cannoni semoventi Caesar da 155 mm prodotti dall’azienda francese Nexter. Per aggirare l’azione legale avviata dai francesi si è quindi diretta verso il porto spagnolo di Santander, dove ha trovato ad attenderla varie associazioni della società civile che si sono appellate alle autorità spagnole. A Genova, la tappa successiva, le cose non sono andate meglio.

Le armi per la mattanza nello Yemen

A informare in modo dettagliato tutto questo è, ancora una volta, Nigrizia, la rivista dei padri Comboniani che sostiene con forza l’appello lanciato nelle scorso settimane da Amnesty International Italia, dal Movimento dei Focolari, dalla Rete della Pace e da altre decine di gruppi e organizzazioni, al governo italiano di sospendere l’invio di sistemi militari all’Arabia Saudita e in particolare le forniture di bombe aeree MK80 prodotte nello stabilimento di Domunnovas (Carbonia – Iglesias) in Sardegna, di proprietà della RWM Italia Spa, che sono utilizzate dall’aereonautica saudita nei bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile in Yemen.

Amnesty ricorda che sono parecchie altre navi simili in arrivo nei porti italiani; la Bahri Jazan (il 21 giugno), Bahri Jeddah (13 luglio), Bahri Abha (3 agosto) e Bari Hofuf (23 agosto). Per questo Amnesty chiede una mobilitazione costante. “Manteniamo alta l’attenzione e chiediamo di estenderla a tutti i porti e aeroporti, soprattutto a Cagliari, dove da anni vengono caricate le bombe della RWM Italia” destinate alla mattanza saudita in Yemen. Come ha scritto Nigrizia “la notte del 31 maggio una seconda nave cargo, la Bahri Tabuk, partita da Marsiglia e diretta ad Alessandria d’Egitto, ha attraccato a Cagliari, caricando in gran segreto, diversi container. Le operazioni, tra l’altro, sarebbero state condotte da aziende private di sicurezza che hanno agito nottetempo, escludendo gli operatori portuali”. Una procedura inconsueta – fa notare Rete disarmo – che ha documentato fotograficamente il trasbordo e che si dice convinta che gli anonimi container caricati fossero carichi di armi della RWM.

Il governo e il traffico delle armi

Quello delle armi è un commercio florido che non trova sosta con il governo verdegiallo né ha avuto limiti con quello precedente di centro sinistra. Pecunia non olet, dicono molti al riguardo. Peccato che a fare le spese della nostra disinvoltura siano uomini e donne, vecchi e bambini. Vittime di bombardamenti che gli esperti delle Nazioni Unite hanno definito come “crimini di guerra”. L’esportazione di armi – ricordiamolo ancora una volta – è in totale contrasto con la legge 185 approvata dal nostro Parlamento nel 1990 che vieta, in modo tassativo, di vendere armi ai paesi in guerra.

Forse come dicono bene Nigrizia e Avvenire sarebbe il caso che l’Italia chiuda i porti alle armi. Se questo non succederà, sarà difficile pensare di riuscire di chiudere i porti agli uomini che fuggiranno dalla guerra.

Almeno non facciamo gli ipocriti.