Us de ö fà sito, Voce di un silenzio che sembra sempre malcapitato

Foto:(con Franco Loi e Cristiana Tironi Balini ad ascoltare il silenzio del giardino selvatico di Franco Piavoli a Pozzolengo)

Can de l’òstrega, dicevo, quanto è frustrante a volte stare a cavalcioni di questa corrente bastarda della lingua e delle lingue, di quella prima e di quelle dopo. Certo, è il the dark side della fascinazione di stare nella poesia così come sto, ma come già mi è capitato di dire, a volte mi prende questo sentimento da prigioniero della lingua prima che mi fa annaspare sussultando come ö canù de mèlga (una pannocchia di granoturco) sull’orlo di una vetusta e legnosa tramoggia del melgòt, tipo di quelle esposte nel bellissimo Museo Etnografico del mio paese (da visitare: Fb Museo della Torre Comenduno).

Prima del coraggioso atto finale del re-inventare le parole in lingua prima, nel senso di dare di nuovo, di ri-destare, un moto di vita a una parola dicibile e risuonante – grani e poi farina e poi polenta insomma – prima si deve attraversare il deserto dello sfrucugliamento rude e inesorabilmente necessario che porta inevitabile allo sfantamento. Acqua e fuoco arriveranno dopo, forse, obbligata compagnia a dirti del gusto, del sapore giallo, che la parola nuova della lingua dice della mia piccola storia nelle piccole storie del mondo.

Il termine corrispettivo di silenzio (s.m),  in senso specifico, precipuo, nella mia lingua prima non esiste. Non esiste sui vocabolari del dialetto bergamasco e neanche nelle sonorità della mia parlata fonda. Tradurre in ol silènse suona come una coglionata linguistica. Vi sono nel dialetto più declinazioni, a immagine, del termine (cucirsi la bocca, stare muto, tacere, asciutto di parole…..), ma la farina, dopo la fase de la tremògia e de i mülì, ha sapore e consistenza tali da far ritenere che l’espressione ol fà sito (il fare zitto, fare senza parlare) sia quella che più è in sintonia con il silenzio. Ol fà sito, visto che sono costretto a tradurre tutto, è, il silenzio. E se ci pensano, quelli che parlano come parlo io con la lingua prima, ne converranno.

A proposito, Franco Loi ne IL SILENZIO (Mimesis Accademia del silenzio 2012) dice: ...Il silenzio è perciò anche la condizione in noi e fuori di noi, per giungere all’ascolto dell’inconoscibile. E’ qui che opera l’arte e viene sollecitata la poesia. Essa scaturisce da uno strato di estrema serenità da cui la parola emerge in sequenze di suoni, in un confuso addensarsi di emozioni, sensazioni e pensieri estranei e spesso emergenti dalla memoria. E questa serenità non esclude emozioni e pensieri tutt’altro che sereni, ma che tuttavia non intaccano quella serenità di fondo. Certo si tratta di ricordanze, ma che vengono recepite in una forma spesso del tutto inconscia e spesso con sostanziali mutamenti rispetto alla consapevolezza. Il fare poetico certifica che da un magma sconosciuto “qualcosa si crea”. Ogni vero poeta sa di non poter eliminare i processi che lo travolgono nel fare…

E ancora: …C’è un passo in Agostino che mi sembra interessante per meditare su questo fenomeno creativo favorito dal silenzio: “Quando si emette un canto, se ne ode il suono, ma non prima di qualcosa di informe che può assumere forme di canto. Quel nonsoché che comunque fu suono, passa via, e non troverai qualcosa di esso da riprendere e comporre con arte; perciò il canto si risolve nel suo suono – e questo è poi materia del canto – assume forma per essere canto; non già prima della facoltà di agire; quindi il suono non è l’artefice del canto, ma dipende dall’anima che canta per mezzo del corpo che diviene strumento del canto”.

E’ appunto ciò che accade al poeta nel momento del suo poetare.

Quando ho rilevato l’estraneità del poeta al proprio fare intendevo appunto questo: è l’Io che, nel voler dire la propria esperienza, ascolta il proprio inconscio e se la sente riferire in modo del tutto nuovo e diverso. E non si tratta del semplice “prendere consapevolezza del proprio inconscio”  – al modo di una seduta psicologica – ma dell’assoluta estraneità dell’Io all’insorgere del suono e prendere forma il canto. L’Ego, come dice Agostino diviene strumento del canto. Non è nemmeno la sequenza di suoni a generare canto, ma qualcosa che non ha nome e rileviamo solo quale impulso o voce, giacché suono e parola in poesia sono strettamente uniti e però colmi di significati estranei alla coscienza.

Due poesie che dicono del silenzio. Sono inedite e si sono scritte prima di leggere ciò che Franco sopra raccontava, che è lettura recente. Mi viene in mente quel carabiniere semplice della caserma di Malo di cui parla Luigi Meneghello:… Sissignore! Io la barba me la faccio da sé!

1) US DE Ö FÀ SITO

2) Ö  FÀ SITO

 

US DE Ö FÀ SITO

Us de ö fà sito
che l’sömèa sèmper
malcapitât.
 
Ta tènde us
in de la tò us
to sé fràgel
e débol
                          perchè to ma ölet bé                  
e ’l vülis bé
a l’ga lassa lé dervìcc
 basgòcc cantùr
con d’ö spartìt imprestât.
 
Fina us
fiàt ligér ligér
de éta biónda 
e spéret desligât,
 ga öle bé al tò sentùr
l’è ö pensér
i-sghirlanda
ö respìr a grónda 
che te sé desmentegât.

VOCE DI UN SILENZIO

Voce di un silenzio
che sembra sempre
malcapitato.

Ti custodisco voce
nella tua voce
sei fragile
e debole
perché mi ami
e l’amore
ci lascia lì aperti
malfermi cantori
con uno spartito imprestato.

Fina voce
fiato leggero leggero
di vita bionda
e spirito slegato,
amo il tuo sentore
è un pensiero
ghirlanda
un respiro a gronda
che ti sei dimenticato.

 

Ö  FÀ SITO

L’è öna gran fürtüna
ol fàsito del momènt giöst
l’è ’l pàder
del pensér che l’sa ’nchignöla
a scriv sö i lavre
ol dulùr növ
e ’l sò göst
 
a ötelér de paròle
e a la sò sit
l’imbròi de ö dislaùr
bèl fröst
 
l’è ö spàsem de fiàt
rembambìt
e sènsa böst
sóta’ö cél mal tracc-insèma
che l’m’è mia cunussìt.
 
Se córe llontà di me öcc
só ö s-cetì
fò de pòst
mia gnamò nassìt.

UN SILENZIO

E’ una gran fortuna
il silenzio del momento giusto
è il padre
del pensiero che s’incunea
a scrivere sulle labbra
il dolore nuovo
e il suo gusto

a un telaio di parole
e alla sua sete
l’imbroglio di un feriale
bello frusto

è uno spasmo di fiato
rimbambito
e senza busto
sotto un cielo scapestrato
che mi è sconosciuto.

Se  corro lontano dai miei occhi
sono un bambino
fuori posto
non ancora nato.