La Chiesa e la sua crisi. Non è colpa del Papa ma neppure dei mussulmani

I cattolici soffrono visibilmente della paura esistenziale di perdersi, di finire in una sorta di diaspora ebraica lungo i tempi e la storia del mondo.

Chiesa in crisi? Colpa del Papa. O del Vescovo

L’ultimo episodio, ancorchè infimo, di tale angoscia è la lettera anonima che un gruppo di sacerdoti e fedeli della Diocesi di Bergamo ha inviato al proprio Vescovo, lamentandone l’incapacità di far fronte alla crisi del Seminario e chiedendone, pertanto, l’allontanamento. A parte il metodo assai poco pastorale e per nulla evangelico della lettera anonima, la storia è antica: se i processi di secolarizzazione stanno erodendo la presenza cristiana nella società e nella politica, se solo un terzo di coloro che si dichiarano cattolici va a messa la domenica, se le Parrocchie e le chiese chiudono i battenti, se le vocazioni al sacerdozio stanno diminuendo a precipizio, tutto ciò è imputato ai Vescovi e al Papa.

Chi può dimenticare le contestazioni rivolte a papa Giovanni XXIII per l’indizione del Concilio Vaticano II o quelle indirizzate da settori cattolici milanesi al card. Montini o al card. Martini, alla cui audacia intellettuale e riformistica attribuivano la responsabilità della “morte di Dio” nell’area metropolitana?

Sociologi della religione, teologi, ecclesiologi conducono analisi ben chiare e distinte, l’Annuario statistico della Chiesa cattolica produce cifre periodiche così come l’Agenzia Fides o il PEW Research – tutte documentano il declino del cristianesimo in Europa –  ma si intravedono deboli tracce di autoriflessione destinate a chi continua ad andare a messa. I parroci non si danno molto tempo per pensare. Devono far funzionare una macchina organizzativa complessa, sempre troppo grande, e assai spesso gestita in modo monocratico.

Colpa anche dei mussulmani. E Salvini diventa l’eroe che difende il cristianesimo

Anche nella Chiesa, insomma, si avverte un distacco tra élites e masse: le prime parlano poco con le seconde e queste danno sempre meno retta alle prime. Così, per un verso, il fenomeno dell’apostasia silenziosa viene ingigantito nella percezione dei “fedeli” piuttosto deboli di fede, per l’altro esso viene attribuito a cause esogene, quali l’arrivo dei mussulmani, che oggi in Europa sono all’8% e che, secondo le proiezioni statistiche, dovrebbero arrivare al 10% nel lontano 2050. Peraltro, Eurobarometro ci informa che gli Italiani sono quelli che in Europa conoscono meno l’Islam: degli Europei, il 63% non ne sa nulla; in Italia l’ignoranza sale al 74%. E se il pericolo per i cristiani in Europa è rappresentato dai mussulmani, chi ci difende da loro difende il cristianesimo. Ed ecco che Salvini viene scambiato con Don Giovanni d’Austria, vincitore della battaglia di Lepanto. Semplice, no?!

L’ignoranza religiosa alimenta la paura e questa il rifiuto di conoscere, avvolgendo i fedeli in circuito vizioso, che si autoalimenta, con esiti evidenti sul piano dello spirito pubblico e della politica.

Le religioni cambiano. E cambia la domanda di religione

L’ignoranza della storia delle religioni – ma su questo rinvio all’articolo precedente sull’insegnamento della religione nelle scuole italiane – impedisce di constatare che la secolarizzazione colpisce tutte le religioni, in particolare le religioni a forte connotazione metafisica, quali sono le religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Sono assai meno esposte quelle a sfondo politeistico – quale l’induismo –o quelle a sfondo etico-immanentistico – quale il confucianesimo, il buddismo e il taoismo. Se non è affatto previsto che le religioni scompaiano nei prossimi decenni –  al 2050 i cristiani, che oggi sono 2,3 miliardi, saranno 2,9 miliardi; i mussulmani passeranno da 1,8 miliardi a 2,7 miliardi; gli induisti saranno 1,2 miliardi – è tuttavia certo che sta profondamente cambiando l’atteggiamento religioso.

Sta cambiando la domanda religiosa. E ciò proprio perché essa fiorisce dentro la storia degli uomini, sul terreno dell’economia, della società, delle culture. E se, come pensava Marx, si tratta di un epifenomeno, esso è passeggero e mutevole almeno quanto il fenomeno che sta sotto: le società umane.  Tuttavia, se “storico-eterna” è la domanda, la risposta delle fedi, comprese quelle che si annunciano come rivelate, è solo “storica”. “Rivelate”, in un punto ben preciso della storia umana, secondo un prius e un posterius, secondo un inizio e una fine possibile.

Le religioni storiche non sono eterne: cambiano, evolvono, scompaiono. Qui interessa, però, non il cambiamento della risposta, ma quello della domanda. Se la domanda religiosa nasce dalla percezione di una dipendenza, di un’incompletezza, di un’inquietudine, di “un oltre”, dall’esser-per-la-morte, occorre riconoscere che tale domanda si è attenuata. Le filosofie post-umaniste e transumaniste hanno dato voce e legittimazione alla pretesa umana di sconfiggere il tempo e la morte. La scienza e la tecnologia si sono accreditate quali risposte alla domanda religiosa.

Dunque, nuove religioni. Ancora qualche decennio, ma ce la potremo fare da soli contro l’invecchiamento e contro le malattie mortali o degenerative. D’altronde, la morte è solo “una cattiva prestazione tecnica” della macchina umana. Riparando e sostituendo i pezzi per tempo, si può andare molto in là. E’ dubbio che tecno-filosofi come Ray Kurzweil siano più letti dei giornali sportivi e che le denunce ormai cinquantennali di Emanuele Severino della vittoria schiacciante della metafisica tecno-scientifica sull’ontologia parmenidea siano diffuse a livello di massa.

Un nuovo modo di vivere la religione che è diventato una moda: lo spiritualismo

Eppure, sì, qualcosa del genere è passato a livello di massa. Raphael Liogier, un ricercatore francese, studioso del fenomeno religioso dentro le dinamiche della globalizzazione, ha indicato nello “spiritualismo” una delle tendenze che toccano e trasformano la domanda religiosa, in primo luogo dei fedeli delle grandi religioni monoteistiche. ”Spiritualismo” significa la domanda e la ricerca del “benessere” psicologico e fisico. Non solo tra i cristiani, ma anche tra i mussulmani. E’ una religione da classi istruite e benestanti. In questa prospettiva, la dimensione dogmatica, la teologia della storia, l’etica sono piegate sulla misura del Sé. E’ un mix di platonismo, di stoicismo e di epicureismo, che d’altronde si sono mescolati con la riflessione e la pratica etica del primo cristianesimo. Di qui la diffusione in Europa del “buddismo”, che rilegge in chiave immanentistica l’etica cristiana, in termini di benessere personale e sociale e di attenzione al creato. Riflette globalizzazione e allarme per il mutamento climatico.

Lo spiritualismo non è l’unica tendenza. Carismatismo e fondamentalismo sono altrettanti mutamenti della domanda. Queste tre correnti  sono sempre esistite e in modo intrecciato nella storia delle religioni; emergono di volta in volta, a seconda delle sollecitazioni storiche. Come spiegava una grande storico tedesco, Leopold von Ranke, “ogni generazione ha il proprio rapporto con Dio”.

La traversata del lago in tempesta

La Chiesa di Bergoglio fa i conti con tutte queste dinamiche: la globalizzazione, la Rete, il mutamento antropologico in atto, la nuova domanda religiosa, le altre religioni. Governa una nave nella burrasca di una transizione veloce, dalle onde imprevedibili. Non può essere sostituito da un pilota automatico, guidato da un algoritmo, che sintetizzi tutti i percorsi finora fatti e tutta la tradizione alle spalle della Chiesa. Non vale solo per una grande organizzazione mondiale quale è la Chiesa. Vale per ogni leadership. Il cui esercizio è reso oggi più difficile dalla pretesa che la Rete ha radicato nella coscienza degli individui: quella di un rapporto in tempo reale tra élites e individui. Ma la “vicinanza” della Rete non è affatto una “prossimità”.

Nel racconto di Matteo (8,23-27), dedicato alla tempesta sul Lago di Tiberiade, il Leader e i fedeli stavano fianco a fianco. Quando il Leader venne svegliato dagli Apostoli impauriti, rimproverò loro di avere poca fede e perciò paura, ma, soprattutto, “sgridò i venti e il mare e subito si fece una grande bonaccia”. Difficile che Papa Francesco possa sgridare e placare i venti della globalizzazione e della Rete. Ma forse il compito tocca a ciascuno.