Può cambiare squadra mio figlio?

E venne il CRE. Credo non esista CRE che non preveda la distribuzione dei bambini in squadre. Anche nei miei oratori, ovviamente, è così. A Grumello abbiamo 270 bambini al CRE e 90 al MINICRE, con 130 animatori; a Telgate circa 140 bambini con 57 animatori.

Si fanno le squadre. Immancabile arriva la domanda: posso cambiare?

Per mia scelta, in continuità peraltro con i curati che mi hanno preceduto, espongo le squadre del CRE il giorno precedente l’inizio dell’esperienza o il giorno stesso: i responsabili le predispongono e io le confermo o modifico leggermente, alla luce della conoscenza delle diverse situazioni personali dei bambini.

Ogni anno, tuttavia, arriva la fatidica domanda, solitamente da parte del genitore, ma talvolta anche portata dal bambino con modalità discutibili che traducono serie difficoltà genitoriali (“ha detto il mio papà che se non mi cambiate squadra si arrabbia con voi, mi ritira dal CRE e mi ridate tutti i soldi”… però! Inizia bene l’itinerario educativo del pargolo…).

Ora, una piccola riflessione pedagogica. È chiaro che quando una persona mi porta una richiesta, deve trovare accoglienza. Tuttavia, l’accogliere quanto l’altro mi porta non coincide con l’esaudimento automatico del suo desiderio senza passare da una seria riflessione di valutazione. Nel caso specifico, alla richiesta di cambiare squadra al figlio, chiedo di accompagnare una motivazione seria. È chiaro che se ci sono questioni particolari, quali situazioni specifiche del bambino (a livello di disabilità, comportamentale, di socializzazione, bambini provenienti da altre culture e sul territorio da poco ecc.) si interviene e, peraltro, diverse segnalazioni su questo vengono già consegnate in sede di iscrizione, oppure vengono dal catechismo o dalla scuola, nel caso ad esempio dei miei alunni. In sé il criterio di formazione delle squadre non è in primis l’equilibrio di queste in ordine ai diversi giochi sportivi, pur importante, ma è legato alla socializzazione.

Non è solo questione di squadre, ma di imparare a vivere

Quindi, se la richiesta è quella di spostare il bambino o la bambina perché non ha il suo amichetto o la sua amichetta preferita, io non effettuo il cambio. Per due motivi. Il primo è legato al bambino e alla sua educazione: il problema dell’amichetto è più dell’adulto che del bambino. Se il genitore, come molti fanno in verità, spiega al bambino, anche piccolo, che deve imparare a stare con tutti e che vedrà l’amichetto nei momenti di gioco libero e nei tornei, il bambino non si farà problemi e, dopo qualche comprensibile fatica iniziale, starà con tutti e costruirà legami nuovi.

In secondo luogo, non cambio squadra al bambino per il bene del genitore. Pongo qui una domanda educativa molto semplice: se un genitore non è in grado di gestire la piccola frustrazione del bambino piccolo che fa i capricci e non vuole andare al CRE se non ha l’amichetto in squadra, come pensa di impostare l’educazione di quel figlio? Alle medie gli cambierà scuola perché ci saranno compagni o insegnanti che non gradisce? Da adulto cambierà continuamente posto di lavoro perché non troverà mai condizioni e persone come lui vuole?

Non sono domande banali queste e giocarsi la risposta con la superficialità di un “da grande sarà diverso” è un grave errore. A stare con tutti, a non esercitare ricatti affettivi (“o come piace a me e come voglio io o niente”) si impara da piccoli, perché se non si impara si può arrivare anche a cinquant’anni e oltre con questo stile.

Quindi, cari genitori, vivete sereni. Il vostro bambino se non ha l’amico del cuore in squadra non solo non muore, anzi, impara a vivere!