Di dazi e contro-dazi, una forma non cruenta di lotta fra gli Stati, possono morire le economie. Da molti mesi ogni contrasto si trasforma in minacce o vere ritorsioni che si scaricano sulla tassazione all’importazione dei prodotti esteri. I dazi possono essere mirati, sono un segnale politico-diplomatico di massima distanza. Viene colpita un’area o un singolo Paese per creare difficoltà economiche e contraccolpi interni. Avviene da anni, con dazi o sanzioni economiche, non inviando materiali per armamenti o tecnologie o semplicemente ricambi indispensabili.
Rispetto al passato il contrasto si sta allargando ai Paesi ex-amici. Per gli Usa l’Europa è meno importante e viene sospettata, Roma compresa, di flirtare con la Cina. Quanto costerebbe ad esempio all’Italia l’introduzione di dazi Usa ufficialmente motivata dall’appoggio al consorzio europeo Airbus che danneggerebbe la statunitense Boeing? Le stime di partenza non mancano: su un totale di prodotti europei sotto tiro del valore di 11 miliardi di dollari, ben 5 miliardi (pari a 4,5 miliardi di euro) andrebbero a colpire Made in Italy di vario tipo.
Alle condizioni attuali l’Italia perderebbe circa il 9% delle sue esportazioni verso gli Usa. Una penalizzazione appena inferiore a quella che dovrebbe sopportare la Francia. Nella lista dei prodotti “in castigo” ci sono vini e liquori, alimentari, moda, metalli e altro.
Comprese le moto. Proprio sul comparto moto, e sulla prestigiosa produzione di Harley-Davidson, si è sviluppato in questi mesi un botta e risposta che la dice lunga su quali sono i contraccolpi per le economie. Quale contromisura ai dazi su acciaio e alluminio, la Ue aveva imposto dazi sull’importazione delle rombanti moto della casa di Milwaukee Che però ha bisogno di vendere anche in Europa e quindi ha pensato di portare attività in Asia, sfuggendo al dazio sulle produzioni Usa. In un alternarsi di tweet il presidente Usa, Donald Trump, ha difeso il gruppo motoristico dai dazi, ma lo ha criticato per la delocalizzazione. Imposizione di extracosti all’ingresso e lotta alla delocalizzazione sono due passaggi della politica all’insegna dell’American First, o Britain First o altro simile.
Le aziende sono invitate a dare ricchezza soprattutto ai Paesi d’origine, a mantenere alta l’occupazione e l’indotto. Bene, si potrebbe dire. Peccato che aziende di quasi tutti i settori hanno bisogno di svilupparsi all’estero, senza penalizzazioni di tasse d’ingresso e magari producendo vicino ai mercati di sbocco.
Le vendite di Harley sono calate dell’8,4% nel secondo trimestre 2019, con una flessione dell’8% negli Stati Uniti. Per il 2019 la casa stima di consegnare fra le 212mila e le 217mila moto, meno delle 217-222mila previste in precedenza. Una revisione al ribasso dovuta ai tempi più lunghi del previsto per ottenere i via libera necessari per esportare le moto prodotte in Thailandia in Europa con dazi non penalizzanti.
Di dazio in dazio le economie si chiudono sui Paesi d’origine, si allenta quello scambio diplomatico-commerciale che è comunque una delle forme storiche di colloquio fra i popoli. Chi è forte resta abbastanza forte. Chi è debole e rivolto all’export soffre di più. Per l’Italia, che ha già un’economia fragile e una domanda interna sottotono, sarebbe un ulteriore freno.