Mangiatori di plastica. Uno studio rivela: ne ingeriamo 5 grammi alla settimana attraverso cibo e liquidi

In qualunque luogo quotidiano ci troviamo, basta soffermare un attimo lo sguardo sugli oggetti che ci circondano per renderci conto che… siamo circondati dalla plastica! In tutte le sue forme e tipologie, che – con poco senso di responsabilità comune – abbiamo inventato, prodotto e diffuso. Per non parlare poi di alcuni luoghi del pianeta, ormai letteralmente “invasi” da questo materiale, con devastanti conseguenze sull’ambiente e, di conseguenza, sui viventi che esso ospita.
Tutto qua? Manco a pensarlo! In base ai risultati di un recente studio analitico (al momento in fase di peer-review), denominato «No Plastic in Nature: Assessing Plastic Ingestion from Nature to People», commissionato dal WWF all’Università di Newcastle (Australia), pare che in media ciascun abitante della Terra, attraverso cibo e liquidi, potrebbe arrivare ad ingerire ogni settimana ben 5 grammi di frammenti di plastica, ovvero circa il peso di una carta di credito!
L’analisi, che prende le mosse da una revisione scientifica di 52 precedenti studi sul tema, rappresenta il primo tentativo di elaborare una stima realistica del peso delle microplastiche che inconsapevolmente possiamo introdurre nell’organismo; dato, questo, essenziale anche per poter valutare più precisamente gli effetti che questi residui provocano sulla salute umana.
Dunque, i numeri impietosi dicono che, insieme a cibo e liquidi, ciascuno di noi ingloba in media 2000 microframmenti di plastica alla settimana, per un peso totale di 21 grammi ogni mese (ben 250 grammi all’anno!). Da quali sorgenti? La maggior parte di queste particelle è contenuta nell’acqua, sia quella in bottiglia che quella del rubinetto; ogni soggetto, quindi, soltanto bevendo acqua (indipendentemente dal tipo) potrebbe arrivare ad ingerire ogni settimana 1.769 particelle di plastiche varie.
C’è poi il cibo. Tra i prodotti che normalmente acquistiamo, i più “contaminati” sembrerebbero essere i mitili bivalvi, la birra e il sale. I molluschi con guscio, infatti, che di solito sono consumati “interi” (sistema digerente incluso), dopo una vita trascorsa in un mare inquinato, sono capaci di introdurre nell’organismo umano una media di 182 frammenti di plastica ogni settimana.
Va anche tenuto presente che – come dichiarato dagli stessi autori dello studio – l’approccio d’analisi adottato è stato di tipo “conservativo”, mirante cioè a minimizzare il rischio di scenari poco realistici che potrebbero creare allarmismi nella popolazione, lasciare al tempo stesso scettici i decisori politici. Per altro, le fibre considerate “ingeribili” sono state soltanto le microparticelle di massa compresa tra 0 e 1 millimetro. Va comunque evidenziato che il tasso di questo tipo di inquinamento presenta una notevole variabilità legata alle aree geografiche; basti pensare, ad esempio, che l’acqua del rubinetto di Stati Uniti e India contiene quasi il doppio di residui di plastica rispetto a quella di Europa e Indonesia.
Infine, va registrato che questa ricerca non ha preso in considerazione, tra le possibili fonti dirette di particelle di plastica, prodotti per i quali non esistono ancora dati sufficienti (ad es. spazzolini da denti, latte, riso, pasta, packaging alimentare). Le stime ottenute, dunque, potrebbero essere persino sottodimensionate.
È vero che, in generale, non sono ancora noti gli effetti reali delle microplastiche sulla salute umana. Tuttavia, non ci sono dubbi sul fatto che, una volta entrate nell’organismo, esse non possono essere rimosse. L’unico modo per ridurle, quindi, è limitare alla sorgente l’inquinamento da plastica: un’ulteriore urgente chiamata ad esercitare con convinzione ed efficacia una responsabile “custodia” della nostra casa comune!Maurizio Calipari