Ascolto alla radio la dichiarazione del presidente del Consiglio Conte al Senato e il successivo dibattito. Ancora una volta mi colpisce la frequenza con la quale vengono citate parole di vangelo o rilanciati temi religiosi. L’invocazione al Cuore Immacolato di Maria da parte di Matteo Salvini (che ostenta, come i suoi compagni di partito Pillon e Fontana, la corona del Rosario baciata in modo plateale) e, per contro, il richiamo a Matteo 25 (“avevo freddo e mi avete accolto, avevo fame e mi avete dato da mangiare”) di Matteo Renzi. In più, per finire in gloria, citazione di san Giovanni Paolo II (sempre da parte di Salvini) e invito, da parte di un esponente dell’opposizione, a mostrare le stimmate.
I politici baciano il rosario ma non pensano da cristiani
Insomma, mai come in questa confusa stagione il richiamo al religioso da parte dei leader politici è continuo e ossessivo. Quasi a voler mandare segnali precisi ad una precisa parte del Paese, quella cattolica, elettoralmente ancora significativa, che mal sopporta la ricentratura sul Vangelo operata dal pontificato di papa Francesco e subisce la seduzione leghista anche quando usa toni razzisti. Ogni volta mi torna alla mente una frase di Giuseppe Lazzati, un credente tutto d’un pezzo che ben conosceva il valore della laicità dello Stato e delle istituzioni:
E’ facile per noi cattolici chiamare cristiana la politica per atti di ossequio formale da essa resi alla religione: ma purtroppo sotto il velo di questa apparenza può vivere un ordinamento politico che, per la sua difformità dal fine naturale proprio della politica stessa, è grave ostacolo a che la parola di Dio corra nel mondo a salvezza di molti” (G.Lazzati, La spiritualità dell’uomo politico, in Pensare politicamente II, Ave, p. 121).
Eppure se c’è un dato inequivocabile di questo tempo è la mancanza di un pensiero forte da parte di politici di ispirazione cristiana. Intendiamoci subito. Nessun rimpianto o nostalgia (che pure sento serpeggiare in molti) per la ricostituzione di un “partito cattolico”. E’ un’operazione fuori tempo e oggi inopportuna. No, la questione è un’altra e più profonda. Per ragioni che andrebbero comprese fino in fondo, i cattolici del nostro Paese hanno rinunciato – da tempo – ad assumere il campo della politica come luogo di traduzione, laica, della vicenda cristiana.
I cristiani disprezzano la politica e sui grandi problemi tacciono
E’ evidente anche qui a Bergamo. Molto movimento nell’animazione, anche culturale; tanto impegno nella carità ma sempre alla larga dall’assunzione di responsabilità dentro l’agone politico. Paghiamo anni di (deliberato?) abbandono da parte della comunità cristiana in ordine alla costruzione di competenze, laici adulti capaci di vivere il discernimento della custodia dell’umano nella città di tutti, alla ricerca di quel bene comune più grande perfino del bene particolare della Chiesa.
Che progetto avere davanti alla grande ingiustizia e al grande mercato della guerra di cui le migrazioni sono il frutto? Quale discernimento di fronte ad un’economia che, in nome della massimizzazione del profitto, violenta l’ambiente e riduce ciascuno a consumatore? Quali terre di mezzo custodire e salvaguardare dentro una molteplicità sfrangiata di fedi e di pensieri? Quale realtà istituzionale può sostenere la difficoltà a riconoscere elementi fondativi della coesione sociale quando gli stessi organismi intermedi sono stati indeboliti e la rappresentanza politica è screditata?
Su queste e su altre vicende, siamo muti e silenti. Al massimo, capaci di enunciare slogan di buon senso, vuoti e sterili di fronte alla complessità delle questioni in gioco.
A perdere non è solo la fede cristiana (che è più di una esibizione di amuleti). A perdere è il Paese.
La fede esibita è segno di poca fede
Nel frattempo, un poco più di coraggio è richiesto a tutti i credenti. Preti e laici, vescovi e religiosi. Anche solo per zittire quanti inopportunamente usano la religione per fondare pensieri sovranisti o xenofobi. Non è la prima volta che capita nella storia né la prima volta che il potere cerca di usare la religione a proprio uso e consumo. Tornano alla mente le parole di don Lorenzo Milani: “Quando ci si affanna a cercare apposta l’occasione di infilare la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece un modo di vivere e di pensare”.
Intanto, cominciamo a ragionare e a discutere tra noi su come sia possibile ripartire e ricostruire un metodo, un pensiero e una spiritualità che custodendo il primato di Dio porti con sé la passione per la storia che si abita. E’ la sfida più grande che ha di fronte a sé il cattolicesimo del nostro Paese.