Intervista a Giovanni Tridente: Papa Francesco, “Pellegrino di periferia”

Jorge Mario Bergoglio, 266º papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma con il nome di Francesco, “venuto dalla fine del mondo”, fin dall’inizio del suo apostolato ha sempre preferito uscire dai Sacri Palazzi per andare incontro ai tanti romani che sempre l’hanno accolto con gioia e commozione.
Bergoglio è dunque, un “Pellegrino di periferia” (Amazon 2019, Prefazione di Andrea Monda, pag. 96, 10,30 euro) secondo la riflessione di Giovanni Tridente, il quale in questo volume ha riletto le ultime nove (finora Bergoglio ne ha visitate venti) come recita il sottotitolo del testo: “Le visite di Papa Francesco alle periferie romane”.

Nel saggio dedicato “Alla mia famiglia, A Papa Francesco e alla gioia dell’evangelizzazione”, l’autore fa iniziare tutto dalle prime fondamentali parole pronunciate da Papa Francesco dalla Loggia della Basilica vaticana la sera del 13 marzo 2013. Poche parole che fecero subito capire che in Vaticano iniziava a soffiare un vento nuovo. “Adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore. Prima che il vescovo benedica il popolo chiedo che voi preghiate Dio per benedire il vostro vescovo”.

Abbiamo intervistato Giovanni Tridente, giornalista dal 2002, docente di comunicazione alla Pontificia Università Santa Croce e corrispondente in Italia della rivista spagnola “Palabra”.

 

“Buonasera”, “Pregate per me”. Quella sera di metà marzo di sei anni e mezzo fa, in Piazza San Pietro, il nuovo pontefice salutò la comunità diocesana di Roma, chiedendo alla popolazione presente di benedirlo, per incominciare insieme il cammino. Questo apostolato di periferia si è poi concretizzato nel corso degli anni attraverso le visite alle parrocchie della diocesi?

«È esattamente così. Anzi, in quelle parole iniziali dell’appena eletto Pontefice si intravedono le caratteristiche particolarissime del Vescovo di Roma, alla guida della Chiesa particolare che presiede tutte le altre nella carità, come riconosce anche il Codice di Diritto Canonico. Sembra un passaggio formale, quasi folcloristico, ma non lo è, proprio perché da quel momento Papa Francesco è diventato sì il Vescovo della sua “nuova Diocesi” ma lo è diventato di tutto il mondo, esercitando un ministero universale che ha poi concretizzato nelle numerose visite pastorali nei vari continenti. Ma è a Roma che trova la linfa per continuare a camminare pellegrino in tutto il mondo. Mi piace ricordare anche che la sua primissima visita fuori dalla Città del Vaticano l’ha compiuta l’indomani mattina dell’elezione alla Basilica di Santa Maria Maggiore, presso l’immagine della Vergine venerata come “Salus Populi Romani”. Un legame con la città, con la Diocesi e con la Mamma celeste, che da quel giorno è andato alimentando in maniera inflessibile».

La bellissima definizione “Pellegrino di periferia” riassume il profondo senso del pontificato di questo Papa straordinario?

«Direi di sì! Le periferie, non solo geografiche ma soprattutto esistenziali sono al centro del pontificato di Papa Francesco. Si tratta di uno sguardo profetico sulla realtà dell’uomo contemporaneo, che il Pontefice invita ad abitare con un pragmatismo “in uscita” – altro termine molto consono per definire questa particolare epoca della Chiesa. Uscire dalle nostre certezze, dalle nostre comodità, dal “si è sempre fatto così”, dal tornaconto personale, dalla staticità che ammala, per proiettarsi invece nel mare magnum delle esistenze di ogni essere umano. Ciascuno di noi fa
esperienza della complessità nella propria vita (difetti, incomprensioni, errori di calcolo, dubbi, perplessità, offese…) ed è alquanto deleterio pretendere che altri non vivano le nostre stesse “caducità” quando siamo i primi a soffrirne. In fondo, dice il Papa, nella “periferia” di ciascuno di noi, è possibile comprendere anche le ragioni dell’altro, che riscopriamo simile a noi, nostro fratello, pellegrino anch’egli insieme a noi nei marosi dell’esistenza».

Nella Prefazione, Monda scrive che Bergoglio è in senso tecnico un rivoluzionario, uno che rovescia i paradigmi, cambia le prospettive e ribalta le mentalità. Che cosa ne pensa?

«Sono d’accordo. Questo Papa sta cambiando molte prospettive, in linea ovviamente con tutto il percorso avviato dai predecessori, che ha avuto inizio inevitabilmente con il Concilio Vaticano II. Questo Pontefice è l’oggi della storia, è la “chiamata” che Dio fa a ciascuno di noi per convertirci in questa epoca, fornendoci le chiavi di lettura per rendere più agevole questo percorso di avvicinamento e stabilimento del Regno di Dio tra noi. La rivoluzione comincia sempre con una rottura. Qui la rottura riguarda, come dicevo prima, i nostri schemi sedimentati che una società “comoda” ci ha fatto desiderare ma che poi non ci ha concesso e non ci concede. La vera comodità risiede nel dare un senso – profondo – alle nostre esistenze, e ciò può accadere se noi veramente ci facciamo fratelli gli uni con gli altri, soprattutto dei più bisognosi, che di comodo invece loro malgrado hanno ben poco, in tutti i sensi. Guardando agli ultimi possiamo apprezzare di più quanto siamo fortunati, e quanto dobbiamo rendere grazie a Dio».

Santa Maria a Setteville, Santa Maria Josefa a Ponte di Nona, Santa Margherita di Canossa a Ottavia, San Paolo della Croce a Corviale, San Crispino da Viterbo a Labaro, solo per citare alcune delle parrocchie visitate dal Papa. Quali sono i temi ricorrenti della predicazione itinerante del Vescovo di Roma?

«Analizzando queste ultime visite compiute da Papa Francesco nei mesi più recenti, subito dopo il Giubileo della Misericordia – in cui il Santo Padre si è concentrato più che sulle parrocchie su “realtà di misericordia” (case di cura, comunità, case famiglia…) comunque periferiche – vengono fuori alcuni temi ricorrenti della sua predicazione al popolo di Dio a lui affidato come Vescovo. Si tratta di vere e proprie catechesi, che si ripetono nella sostanza in ogni visita, a dimostrazione che il Papa tiene veramente a cuore che la sua comunità diocesana sia di esempio alla Chiesa universale. Per essere sintetici, il filo conduttore che esce fuori dai discorsi che ha pronunciato con le specifiche realtà di ciascuna comunità (bambini, ragazzi, famiglie, anziani, malati, volontari, poveri) ha a che fare, innanzitutto, con la condanna delle “chiacchiere”, che lui ritiene un vero cancro per una comunità; con l’esigenza di una “preghiera vicendevole” che è ciò che rende davvero tale una comunità; con l’importanza di una “testimonianza esemplare”, perché il cristianesimo cresce per attrazione e non per proselitismo; oltre ad avere atteggiamenti gioiosi, pacifici, facendosi amici di Gesù e prendendosi cura degli ammalati, degli anziani e dei bisognosi. Mi piace poi ricordare l’importanza che il Pontefice ha sempre riservato alla Vergine Maria, invocata prima di ogni benedizione particolare e al termine di ciascuna visita».

Alla fine del libro appare una mappa, di che cosa si tratta?

«Questa mappa, realizzata con Google Maps, evidenzia plasticamente il percorso cittadino che Papa Francesco ha compiuto nelle ultime nove tappe del suo pellegrinaggio di periferia diocesano, muovendosi dalla Città del Vaticano e attraverso la città nei quattro estremi della sua estensione. Se lo avesse fatto a piedi, avrebbe compiuto un percorso di 178 chilometri, per una durata di 37 ore di cammino. Mi è parso simpatico rendere in immagine questo specifico apostolato del Santo Padre».