40 anni fa i Boat People. Oggi su quale Italia scommettiamo?

“Le navi vicine a voi sono della Marina Militare dell’Italia e sono venute per aiutarvi. Se volete, potete imbarcarvi sulle navi italiane come rifugiati politici ed essere trasportati in Italia. Attenzione, le navi vi porteranno in Italia, ma non possono portarvi in altre nazioni e non possono rimorchiare le vostre barche. Se non volete imbarcarvi sulle navi italiane potete ricevere subito cibo, acqua e infine assistenza e medici. Dite cosa volete fare e di cosa avete bisogno”.

“Le navi della marina militare sono venute per aiutarvi”

Sono le parole pronunciate da uno dei sacerdoti vietnamiti messi a disposizione dal Vaticano come interpreti, usate per comunicare con una massa di disperati che stavano scappando dal regime comunista di Hanoi. Era il 1979 ed era l’anno dei “boat people”: una moltitudine di vietnamiti fuggivano via mare su barche, zattere, imbarcazioni di fortuna. Naufragavano a migliaia, e a migliaia venivano assaliti e uccisi da moderni pirati. Come spesso accade di fronte alle tragedie degli altri tutti ne parlavano, tutti si commuovevano, ma nessuno faceva niente. Il Governo italiano nel luglio di quell’anno decise di inviare tre navi militari verso il golfo del Siam. Portarono in salvo in Italia 907 persone, la gran parte affette da denutrizione, disidratazione, dermopatie miste ad altre patologie.

Era un tempo e una stagione in cui gli stranieri presenti nel nostro Paese erano poche migliaia (il primo censimento degli stranieri nel 1981 ne registrò circa 320 mila) ma la vicenda del salvataggio dei Boat People resta un episodio di cui essere, come italiani,  orgogliosi. Come ha scritto recentemente Nando Pagnoncelli in un bell’articolo riguardo l’ambivalenza italiana sui migranti pubblicato su inpiù.net (www.inpiù.net) c’è un’Italia che non fa notizia eppure capace di costruire una fitta trama di solidarietà e di accoglienza. L’Italia delle oltre 340 mila organizzazioni non profit, comunità o associazioni che ricuciono ogni giorno legami e storie. L’Italia delle missioni di peace keeping. L’Italia che dal 1986, anno della nube di Chernobyl, ha ospitato 460 mila ragazzi nelle famiglie, la metà di tutti i bambini bielorussi in temporanea uscita dal loro Paese a seguito del disastro nucleare. L’Italia consapevole di ricostruire prima di tutto la sua anima: quell’anima positiva, accogliente, solidale che per diverse generazioni ha fatto in modo che il Paese crescesse non solo nella sua dimensione economica ma anche in quella sociale. E’ l’Italia su cui scommettiamo.

L’Italia che ci piace poco. I Ministri della Paura

L’Italia che viene contrabbandata oggi da alcuni ci piace poco. E l’atteggiamento nei confronti dei migranti ancora meno. Poche settimana fa Enzo Bianchi in un twitter ha scritto: Ascolto alle casse di un supermercato. La cassiera:”Che caldo oggi” Una cliente:”È un caldo africano maledetto che questi maledetti migranti portano con loro”. La cassiera:”Sono proprio una disgrazia”. La cliente:”Li fermasse il mare!” Io resto muto, e mi dico:”La pietà è morta?”
Eppure come ricorda ancora Pagnoncelli nell’articolo citato:

di fronte agli allarmi sociali e, più in generale, alle paure, a nulla valgono i dati oggettivi e le analisi sui benefici (economici, fiscali, previdenziali, demografici, ecc.) derivanti dalla presenza degli stranieri in Italia, molte delle quali realizzate da autorevoli centri studi, da Confindustria alla Fondazione Moressa. La maggior parte delle persone non ci crede o non vuole dar loro importanza. E la pressione mediatica e politica non aiuta di certo a ristabilire un clima pacato nell’affrontare un tema così complesso e delicato.

Forse la contro-narrazione basata sui numeri dovrebbe essere accompagnata da un racconto più caldo ed empatico dei tratti di umanità che caratterizzano il nostro Paese. E’ l’unico modo per contrastare efficacemente i Ministri della Paura e per ripetere a noi stessi, ancora una volta, di non smettere, ogni giorno, di essere umani.