Crisi di governo, nuovo incarico a Conte. Lo storico Paolo Pombeni: “Il sovranismo è un mito”

Con uno sguardo alla cronaca politica e uno alla storia, proviamo a rileggere le vicende dell’agosto politicamente più imprevedibile della vita della Repubblica. Ci aiuta in questo percorso Paolo Pombeni, storico e analista politico di grande autorevolezza ed esperienza.

Adesso che la crisi è avviata a soluzione torniamo per un attimo all’inizio, a quell’8 agosto in cui Salvini ha deciso di rompere pubblicamente l’accordo di governo: ma perché ha scelto proprio quel momento, apparentemente stravagante, dopo che nei due mesi successivi alle elezioni europee aveva avuto molte occasioni e altrettante sollecitazioni dall’interno del suo partito?
Una spiegazione razionale è difficile da trovare. Si può sospettare un eccesso di furberia, l’idea di approfittare del rallentamento della vita istituzionale e della distrazione collettiva per le vacanze. Forse ha pensato che fosse il momento più opportuno per cavalcare l’opinione pubblica a proprio favore e per cogliere una diminuzione delle difese del sistema.

Conte scioglierà la riserva nei prossimi giorni, comunque il suo tentativo appare sotto tutti i punti di vista destinato al successo. Che cos’è che ha sbloccato la situazione?
Al di là di altre considerazioni possibili, c’è da avere ben chiara la spinta fortissima che è venuta dalle classi dirigenti nazionali e internazionali di fronte alla prospettiva di elezioni trasformate in una sfida all’ok corral in un momento politico ed economico delicatissimo per tutti. Questa spinta ha aiutato Conte e ha costretto alla ragionevolezza il M5S. Alla faccia del sovranismo, mi consenta di dire. Vede, la questione del sovranismo dimostra tra l’altro la profonda mancanza di formazione storica di quote considerevoli delle classi politiche. Basterebbe un minimo di dimestichezza con la storia per sapere che il sovranismo è una costruzione ideologica, un mito. Nella realtà non è mai esistito. Lei pensa che l’unità d’Italia si sarebbe potuta realizzare non ci fosse stato l’interesse di Francia e Inghilterra alla dissoluzione dell’impero austroungarico? E si potrebbero fare tanti altri esempi, della storia più recente e in quella più remota.

La domanda che tutti si pongono sul nascente Governo Conte II è se sarà in grado di durare nel tempo e fino a quando. Una domanda che ne presuppone un’altra, se cioè sarà l’attuale Parlamento con i suoi equilibri a eleggere il Capo dello Stato all’inizio del 2022 o se la legislatura si interromperà prima.
La risposta non può prescindere dalla considerazione che ci sono delle scadenze elettorali regionali molto ravvicinate. Entro l’anno si voterà in Emilia-Romagna, Umbria e Calabria, altre regioni andranno alle urne nel 2020. A mio avviso il nuovo governo durerà se in queste elezioni non vincerà il centro-destra. È un passaggio arduo soprattutto per la difficoltà del M5S a stringere alleanze, tanto più a livello regionale. Se questo passaggio fosse superato positivamente, secondo me il governo potrebbe andare avanti sino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e forse anche di più. Il protagonista politico di questa fase è indubbiamente Giuseppe Conte. Un anno fa gli hanno dato del “burattino”, del “prestanome”, e invece ora…È proprio la tipica situazione in cui il ruolo crea il personaggio. A trasformare uno stimabile professore e professionista in un politico vero è stata soprattutto la sua esperienza a livello internazionale. Rappresentare l’Italia all’estero gli ha consentito di acquisire competenze e conoscenze e di costruirsi una credibilità. Adesso la sfida che ha davanti è quella di riuscire a trasferire tale esperienza nella gestione dei rapporti politici interni. Si tratta di una sfida molto impegnativa. Persino un personaggio come Prodi, che a livello internazionale ha raggiunto i massimi livelli e ha acquisito un profilo che gli viene ancora riconosciuto, in politica interna ha incontrato scogli talvolta insuperabili.

Anche M5S e Pd hanno davanti sfide molto impegnative.
Il Pd deve uscire dalla sudditanza nei confronti dell’onda para-demagogica del populismo e dall’illusione che si possa tornare ai vecchi sistemi. Bisogna tutelare i diritti veri, non quelli che vengono definiti tali e che in realtà sono posizioni acquisite in una fase di affluenza economica che non esiste più; altrimenti il risultato è che si tagliano fuori i giovani e tutti coloro che non hanno beneficiato di quella stagione. Il M5S deve uscire dall’adolescenza e diventare un soggetto politico vero, dotato di strutture di produzione di pensiero e capace di interloquire in maniera non episodica e non strumentale con le competenze presenti nella società.

Il caso italiano è l’ultimo di una serie in cui il sovranismo ha mostrato di perdere colpi. Ritiene che si possa parlare dell’inizio di un declino o invece siamo ancora nel bel mezzo della temperie?
Siamo ancora nel mezzo, purtroppo. Il fatto è che viviamo all’interno di una transizione storica enorme, paragonabile al passaggio dal medio evo all’età moderna, e questo genera paure che a loro volta producono reazioni scomposte. Questo processo non finirà da sé. Il suo superamento dipenderà piuttosto dalla capacità degli uomini di rimodellare i loro rapporti con un grande impegno culturale. La storia ci insegna che è possibile farlo.