Il calore e la vicinanza di un Padre sorprendente. La straordinaria parabola del “figliol prodigo”

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro» (vedi Vangelo di Luca 15, 1-32).

Per leggere i testi liturgici di domenica 8 settembre, ventiquattresima del Tempo Ordinario “C”, clicca qui.

La parabola dei Figlio prodigo è, con tutta probabilità, la più bella e la più famosa delle parabole evangeliche. Il racconto è semplice e, ciononostante, ricchissimo.

Gli interlocutori: scribi e farisei che criticano Gesù

Vanno ricordati alcuni elementi che sono sullo sfondo del racconto o dentro il racconto stesso, per capirlo e, soprattutto, gustarlo.
Gesù si rivolge a scribi e farisei. Siamo nel capitolo 15 di Luca che inizia raccontando: Si avvicinarono a lui tutti pubblicani e i peccatori. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Gesù, dunque, accoglie i peccatori notori: i gabellieri e altri non precisati peccatori. Gli ebrei osservanti, scribi (gli studiosi della bibbia) e farisei (la setta diffusa e popolare di ebrei fedeli alla legge) lo criticano. E i motivi della critica sono due: primo. Gesù accoglie i peccatori. Secondo: mangia con loro. È lo scandalo, perché Gesù, che è un buon ebreo, si mischia con i cattivi ebrei e addirittura mangia con loro. Dio non può approvare un comportamento simile.
Gesù risponde con tre parabole dove l’accoglienza dei peccatori e il pasto con loro, come forma perfetta di accoglienza, occupano il primo piano. La parabola più evidente è, ovviamente, la terza, la parabola del figliol prodigo, appunto.

La parabola del “figlio prodigo”. I protagonisti

Il padre. È, in realtà, il vero protagonista. Il padre è la figura di Dio. Siccome la discussione verte su quale è il comportamento di Dio verso i peccatori, il padre-Dio è, ovviamente, il personaggio principale. Ma è una figura antitetica a quella dominante negli scribi e farisei. Dio non rifiuta i cattivi, ma li accoglie e li perdona. Gesù, dunque, dice che il suo atteggiamento verso i peccatori non è una bizzarria personale, ma è l’atteggiamento stesso di Dio. Gesù accoglie i peccatori perché Dio stesso li accoglie e li persona.
Il figlio minore. L’avventura del figlio è soprattutto la perdita di tutto, soprattutto la perdita di se stesso, della propria identità. Spende tutto, cade nella miseria, diventa dipendente di un datore di lavoro s t r a n i e r o (fa infatti il custode di maiali, animali immondi, che gli ebrei non allevano) e deve adattarsi a un mestiere abbietto: pascola i porci e, soprattutto, deve mangiare con essi, deve cioè fare quel gesto di condivisione che è il pranzo con degli animali che invece dovrebbero essere accuratamente evitati.
Il ritorno a casa. Il ritorno è soprattutto la restituzione al figlio della dignità di figlio: il vestito lungo (stolè); l’anello, probabilmente con il sigillo, segno dell’autorità riacquistata; i sandali che erano usati dall’uomo libero, mentre lo schiavo camminava scalzo. Il vitello era stato fatto ingrassare in attesa di una grande occasione. E questa è arrivata: il figlio è tornato a casa. Il figlio non era più figlio – aveva mangiato con i porci – adesso viene pienamente reintegrato nella sua dignità perduta.
Il figlio maggiore. È l’immagine degli scribi e farisei. Il figlio maggiore ha una sua idea di padre. Il padre, se è un buon padre, deve distinguere accuratamente fra lui, il ragazzo per bene che ha sempre fatto il suo dovere e il fratello che ha dissipato il patrimonio paterno con le prostitute (che il fratello maggiore non chiama mai fratello ma, rivolgendosi al padre, designa con l’espressione stizzita “questo tuo figlio”). In fondo, il figlio maggiore rimprovera al padre di essere un cattivo padre perché invece di distinguere buoni e cattivi, li confonde.

Il calore della vicinanza e il pasto

Vogliamo fermarci, per gustare questo mirabile racconto, su due semplici dettagli.
La vicinanza e il contatto. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Mirabile bizzarria dell’amore paterno. Il figlio aveva “preso le distanze” andandosene da casa e andando a finire in un paese straniero, lontano e sconosciuto. Non solo, ma la distanza si era drammaticamente allungata, quando il ragazzo, ebreo, era diventato custode dei porci e aveva voluto mangiare con loro: era l’abiezione totale. Il padre abolisce in un istante tutta quella lontananza e abbraccia il figlio. È talmente commovente la scena che dimentichiamo lo squilibrio: il figlio torna a casa perché ha fame, il padre lo abbraccia perché è padre.
Il pranzo. Il padre non si limita ad abbracciare il figlio scapestrato. Gli fa festa e la festa è il mangiare sontuoso delle grandi occasioni (il vitello grasso) e la musica (quella che il figlio maggiore sente tornando dai campi). Non solo il padre accoglie e perdona il figlio ma dice solennemente, pubblicamente, di averlo accolto e perdonato.

Quel Padre che va “fuori di testa” perché il  figlio scapestrato è tornato, è il nostro Dio

Ci fermiamo qui. Quel padre anziano che corre come un bambino dalla gioia, che abbraccia il figlio scapestrato è il Dio Padre, il Dio che i cristiani amano, o meglio: dal quale i cristiani sanno di essere amati, e sono stati invitati di dire agli uomini di tutte le latitudini che tutti possono accettare di essere amati, solo che lo vogliano.
E quel Dio lì è il Dio-pastore che fa sentire il suo calore alla pecorella che si è messo in groppa (la prima parabola) è il Dio che invade del suo calore paterno il figlio che ha abbracciato. Quel Dio lì, ci dice in sostanza il vangelo di oggi, non solo ci ama ma ci fa sentire calorosamente di amarci.