Un bambino preso a calci. Voleva dare una carezza a una bambina e aveva la pelle scura

Quello che è capitato

Cosenza centro, la scorsa settimana. Una mamma è dal medico con sua sorella e, per non far annoiare il bambino nell’attesa, gli dice di restare nel cortiletto sotto lo studio a giocare un po’. Il piccolo, di tre anni circa, incrocia una coppia con un passeggino. Il cucciolo d’uomo, incuriosito, si avvicina al passeggino e, a quanto pare, con la tenerezza che contraddistingue il cuore dei piccoli, vuole fare una carezza alla bambina che riposa nel passeggino.

Ma il bambino non sa che il colore della sua pelle, che rivela le sue origini nordafricane, non è gradita al papà della bambina nel passeggino, che, con un atto che un animale impazzito non commetterebbe, sferra un calcio potente nella pancia del bambino di tre anni. Il bambino viene sbalzato di un paio di metri, resta a terra, respira a fatica, mentre la bestia fugge, tra le urla della gente.

Grazie a Dio, il piccolo colpevole di voler dare una carezza se la caverà in pochi giorni e con poche cure: non ci sono lesioni gravi, la sua vita riprenderà, anche se la ferita fondamentale, quella nell’anima, necessiterà di un amore che dovrà essergli garantito non solo dalla sua famiglia, ma da un’intera comunità, per poter guarire.

Quello che provo: sono schifato e consolato insieme

Ora, qualche considerazione. Sono schifato dall’atteggiamento di giustificazione emerso da diverse testate giornalistiche i giorni successivi, anche se mi rincuorano, nel contempo, le prese di posizione di molti che hanno gridato la loro indignazione per questo gesto disumano. Reputo incredibile e preoccupante che la prima cosa che si ha da dire, dinanzi a un crimine del genere, sia: “il colpevole è fratello di un pentito”. Interessante, decisamente interessante. Quindi tutto a posto giusto? Siccome questo soggetto è fratello di un pentito ci può stare che commetta un atto del genere, no? È decisamente interessante questa modalità di presentare le notizie: tranquilli, è stato un caso isolato, quell’uomo viene da una famiglia nella quale il male è stato presente, quindi si tratta di un caso, va tutto bene… Eh no, tutto bene un bel niente! Non intendo qui dare risvolto politico alla questione, come qualcuno ha voluto immediatamente suggerire: non dico sia sbagliato, perché riflettere sul clima sociale e sullo stile relazionale e interculturale che la politica propone è una questione seria e certamente da trattare con attenzione e competenza. Tuttavia, credo ci sia innanzitutto da prendere coscienza della portata educativa della questione.

Con la violenza abbiamo dei problemi, problemi crescenti. E per violenza non intendo solo quella fisica, come ci restituisce la brutalità dell’atto compiuto nel caso descritto sopra, ma uno stile relazionale caratterizzato da violenza a diversi livelli: verbale, psicologico, legato alla posizione di potere nei confronti di un’altra persona, ecc. Non esistono solo casi (che pure aumentano!) di volontari della croce rossa aggrediti da coloro che ricevono il loro soccorso, o di insegnanti percossi da alunni o dai loro genitori, o da forze dell’ordine aggredite, ma esiste una modalità violenta anche nella semplicità delle nostre relazioni quotidiane. E questo accade ovunque, anche nella Chiesa e i suoi luoghi educativi.

Quello che continua ad avvenire attorno a noi: l’epidemia della violenza

Si assiste, a tutte le età, al proliferare di un linguaggio volgare e offensivo, a una forte incapacità di confronto, alla concezione per cui “o si fa quel che dico io o te la faccio pagare”.. tanto, che ci vuole? Non fai quello che ti dico? Nessun problema, metto in giro delle voci, vado da quella o quell’altra persona a riferirle di aver sentito dire da te alcune cose su di lei, e ti rovino le relazioni, così impari a non obbedire. E di queste cose se ne vedono molte.

Ora tocca a noi: siamo a un bivio. Possiamo decidere di andare avanti così, di non vedere queste cose, perché siccome il mondo ha bisogno di tanta gioia e positività (termine oggi frainteso e abusato, secondo me), meglio dire sempre che in fondo va tutto bene, che non ci sono problemi.

Oppure possiamo rimboccarci le maniche, tutti, a tutti i livelli, e vedere di mettere in pista riflessioni e azioni concrete sia di prevenzione sia di intervento sui casi che avvengono.

Concludo. Voglio pregare. Per il piccolo che ha preso il calcio in pancia e per la sua famiglia l’ho già fatto. Ora voglio farlo per la bimba nel passeggino e per noi tutti, perché quando si compie un gesto del genere, ad essere colpiti siamo tutti, anche la figlia che quell’uomo pensava di dover difendere dalla carezza di un cucciolo.