Quando nel 2015, a Roncobello (un paese di circa 300 abitanti delle Val Brembana) stava per aprire il Centro di accoglienza che avrebbe ospitato i richiedenti asilo, una parte del territorio fece una forte opposizione, bloccando il ponte con un presidio e violando lo stabile, demolendo anche il bagno in modo che non potesse essere operativo. Fu necessario l’intervento delle forze dell’ordine per riportare tutto alla normalità. Ma un’altra parte del paese diede una risposta diversa: nell’arco di qualche giorno dall’apertura del Cas vi fu una mobilitazione fortissima di persone disposte a dare una mano a questi ragazzi ritrovatisi catapultati in questa piccola realtà. “Relazioni di colore” il nome del gruppo di volontari, una sessantina di persone che hanno sempre partecipato attivamente cercando di aiutare come potevano. E così, rompendo il muro di diffidenza, il progetto di Roncobello ha avuto una ricaduta positiva, a tal punto che sette ospiti del progetto Sprar hanno trovato lavoro nei dintorni, costruito relazioni significative sul territorio e per questo motivo resteranno, malgrado il Cas abbia chiuso. Dal 2015 a gennaio di quest’anno il Cas, gestito da Cooperativa Ruah e Associazione Diakonia (Caritas Bergamasca) ospitava 24 persone, tutti ragazzi, provenienti principalmente dall’Africa occidentale (Costa d’Avorio, Senegal, Nigeria, Gambia, Mali) e durante il primo anno anche da Pakistan e Bangladesh. Ad esso si affiancavano gli appartamenti per l’accoglienza diffusa, tre tra Roncobello, Lenna e Valnegra, per 13 ospiti totali. E proprio in uno di questi appartamenti rimarranno a vivere i sette ragazzi rimasti: verrà chiuso il contratto d’affitto intestato a Ruah e Diakonia e aperto un altro intestato alla parrocchia, ma saranno i ragazzi a pagare affitto ed utenze. “È stato molto importante il ruolo delle parrocchie – racconta Francesca Mangini, operatrice addetta all’accoglienza della Cooperativa Ruah -:ci hanno sempre sostenuto e coinvolto in tutto ciò in cui era possibile partecipare, dal Cre alle varie feste. Anche la risposta del territorio è stata molto buona: si sono attivate bellissime collaborazioni con la società sportiva Polisportiva Fratelli Calvi, con ospiti inseriti nella squadra di calcio e con l’associazione di judo Seryukai, che ha fatto un corso gratuito nel Cas e poi inserito i ragazzi nella propria società, tra allenamenti e competizioni”. Attivando un paio di tirocini, nell’ambito della ristorazione, molti ragazzi hanno trovato lavoro, alcuni con contratto a tempo indeterminato. La presenza del Cas e del progetto di accoglienza diffusa ha fatto nascere a Piazza Brembana una scuola di italiano per stranieri, dapprima aperta solo agli ospiti delle strutture e poi anche ai migranti dei dintorni. Una realtà che resterà aperta, nonostante la chiusura del Cas, come eredità per il territorio: nata sull’onda dell’emergenza, ha saputo intercettare un bisogno nascosto e lo scorso anno ha accolto 25 studenti. “Non sono stati percorsi semplici – aggiunge Francesca -, i ragazzi erano tutti molto giovani. Ma era tanta la loro volontà e determinazione nel volersi integrare. Qui le complicazioni logistiche non mancano e molti per andar al lavoro si facevano 20 km di andata e altrettanti di ritorno in bici, anche d’inverno”. Tra i ragazzi che sono riusciti a farsi apprezzare, Buba, arrivato appena 18enne dal Gambia a dicembre del 2016. Un ragazzo molto sveglio, curioso, estroverso, che ha partecipato ad attività di volontariato sul territorio, di sua iniziativa ha voluto fare l’animatore durante il Cre estivo, è diventato elemento portante della squadra di calcio della Polisportiva Fratelli Calvi ed è volontario del Gruppo Missionario. Ha partecipato anche ai percorsi testimonianza nelle scuole, raccontando la sua storia, con una capacità di arrivare al cuore delle persone non comune. Con un percorso difficile alle spalle, è riuscito a riscattarsi: è molto stimato e riconosciuto. Quando ha iniziato a cercare lavoro, lo si vedeva in giro in bicicletta, anche sotto la neve, per portare il suo curriculum. Dopo qualche mese in un ristorante a Camerata Cornello, dove gli han insegnato a fare la pizza, ne è diventato il pizzaiolo ufficiale. Un esempio di chi ha saputo cogliere tutte le opportunità date dal progetto Sprar e dal territorio, e che dove non c’erano, se l’è andate a prendere. Buba è in attesa di terminare la procedura di richiesta di asilo: la prima volta è stata rifiutata ed ha fatto ricorso. Un ricorso accompagnato dalle testimonianze di tutte le realtà con cui ha lavorato, che sottolineano il suo impegno nel suo percorso di integrazione, nella speranza, questa volta, di ottenere una risposta positiva. “All’inizio ero titubante anche io – racconta Fernanda, volontaria -, ma poi ho cominciato a conoscere questi ragazzi ed è stata un’esperienza bellissima. Non ho fatto chissà che cosa, ma quel poco l’ho fatto col cuore. Un giorno a settimana andavamo a mangiare assieme a loro, cucinavamo assieme i nostri piatti tipici, come gnocchi, lasagne, spezzatino, un modo per far conoscere loro le nostre abitudini e la nostra cucina. Cercavo di considerarli come dei figli, dare loro affetto: da mamma vederli così giovani, lontani dalle famiglie, stringeva il cuore. E nonostante si leggesse nei loro occhi la sofferenza, erano sempre gentili. Ci hanno fatto aprire gli occhi, capire che bisogna andare oltre il nostro piccolo mondo. Li si incontrava sempre in giro, ci si salutava, alcuni di loro si sono aperti e han raccontato la loro traversata. Ora che non ci sono più, mi mancano, e non solo a me: con la loro giovialità hanno cambiato anche gli animi dapprima ostili. E ci hanno lasciato qualcosa di bello nel cuore”.