Monsignor Zuppi con Gad Lerner a Molte fedi: “L’amore non è mai uno spreco, è sempre una perdita”

«I poveri li avete sempre con voi»: sono queste le parole pronunciate da Gesù di fronte all’indignazione dei commensali per lo spreco del prezioso olio di nardo, sparso sul suo capo e non venduto per ricavarne denaro da donare ai bisognosi. «I poveri li avete sempre con voi» sono le parole che hanno fatto da filo rosso nel dialogo fra Gad Lerner e Monsignor Matteo Zuppi (che verrà creato Cardinale la prossima domenica, ndr) sul significato della povertà contemporanea. Il fatto che ci siano dei poveri, con tutte le accezioni che a questa parola si possano attribuire, implica, per un cittadino così come per un credente, che non si possa prescindere dall’essere consapevoli che esistano persone o fratelli in una condizione differente, ma che interpella il nostro vivere quotidiano. Monsignor Zuppi, infatti, riconosce nel povero la conditio sine qua non perché un cristiano possa definirsi tale: «Chiunque si scandalizzi, come i commensali di Gesù, del fatto che qualcosa di estremamente prezioso venga sprecato per i poveri non può dirsi veramente cristiano. Quell’olio di nardo donato a Gesù è il simbolo dell’amore per Gesù e l’amore non è mai uno spreco, l’amore è sempre una perdita, quella dell’andare oltre, di un gesto che non ha convenienza. E così come Gesù non rimprovera la donna di sprecare quell’olio perché simbolo di un amore incondizionato, allo stesso modo ricorda che la riconoscenza dei poveri non può essere misurata con la straordinarietà, ma dalla quotidianità. I poveri sono sempre con noi e per questo un cristiano li antepone ad ogni cosa, riconoscendo in essi la concretezza di Gesù».

Se Zuppi identifica nel povero l’alterità senza la quale non è possibile definire la nostra identità, Lerner sposta la questione sul piano socio-politico in cui non solo ci si stupisce del povero, ma si arriva addirittura a dubitare della povertà, recuperando l’antica categorizzazione medievale di poveri vergognosi e poveri meritevoli e negando la povertà lontana a giustificazione di tale distinzione.

Come non dovrebbe stupire la costante e quotidiana presenza dei poveri, allo stesso modo non dovrebbe scandalizzare che Gesù annoveri i poveri fra i beati perché, secondo Zuppi, «il fatto che il povero sia beato, che viva, cioè, una condizione di gioia totale definisce chiaramente che la felicità piena stia nell’essenziale e non nella bulimica accumulazione capitalista. San Francesco per primo e con lui il nostro Pontefice che ha deciso di portarne il nome sono testimoni del fatto che essere cristiano significhi essere povero per arricchire la vita dell’altro».

Essere credente cristiano così come essere cittadino del mondo globalizzato quale quello contemporaneo significa lasciarsi interrogare e scandalizzare dall’iniqua distribuzione del nostro tempo, che fa, paradossalmente, dei poveri gli unici responsabili dell’incapacità di uscire da tale condizione. Con la stessa rapidità con cui si trasformano le dinamiche sociali, altrettanto freneticamente cambiano le risorse dalla mancanza delle quali si definiscono i poveri. «Se in passato la povertà era quella del non avere, ora la povertà è quella del non appartenere – commenta Lerner, che continua – e quest’assenza di relazioni, dell’attenzione e della cura nei confronti dell’altro, sia nella prossimità del quotidiano, che da parte delle istituzioni rispetto ai cittadini, non solo diseduca alla condivisione e all’empatia, ma anche e soprattutto genera tensioni fra gli stessi poveri, fomentando pericolose frammentazioni interne».

Nella e con la sua povertà, dunque, quell’altro arricchisce la nostra esistenza e ci sprona all’apertura, alla conoscenza e all’incontro, a camminare per le strade popolati dagli altri nostri fratelli più piccoli, ma da amare perché nostri prossimi e perché, come ha ricordato Monsignor Zuppi, «Se non c’è l’altro, c’è l’inferno».