Don, insegni ancora? A proposito di prete nella scuola

Foto: la “scuola secondaria di primo grado” di Grumello del Monte

“Don, insegni ancora?”. È la domanda che giunge puntuale da qualche anno a questa parte; a porgerla sono genitori, ex alunni, collaboratori in oratorio e in parrocchia. “Certamente, non posso fermarmi adesso: inizio il decimo anno di insegnamento! Sono un novellino!”: è la risposta che ho dato quest’anno, sorridendo. In effetti, mi accorgo che la domanda è tutt’altro che superficiale o tesa a una mera curiosità.

Decido di insegnare. Con buone ragioni

Ricordo che, quando cinque anni fa il Vescovo Francesco mi chiese, tramite il vicario generale don Davide, di prendermi cura anche dell’Oratorio di Grumello, oltre a quello di Telgate di cui ero curato da cinque anni, si pose la questione della prosecuzione o meno dell’insegnamento nelle medie, che svolgevo a Grumello dall’anno dell’ordinazione sacerdotale. Insieme al vicario generale presi questa decisione: quella di tenere cinque classi, tutte le terze medie di Grumello del Monte e Telgate. L’idea alla base della scelta era questa: a Grumello per la terza media è l’anno della Cresima, a Telgate l’anno del post Cresima e dei progetti “ad hoc” per terza media; aveva senso la mia presenza lì, con quei ragazzi, con quelle famiglie.

Anche perché mi piace e mi ci trovo bene

Resto dell’idea di aver fatto la scelta migliore e provo a renderne ragione. Per onestà devo dire subito che la scuola è un mondo che amo tantissimo, così come lo studio in generale. Ho frequentato l’Università da curato di Oratorio, trascorrendo momenti splendidi con giovani di dieci anni più giovani di me, incontrando docenti del calibro di Paolo Perticari, Stefano Tomelleri e il pedagogista Ivo Lizzola, poi mio relatore di tesi alla laurea.

Mi sarebbe piaciuto restare in ambito universitario per qualche piccola collaborazione, qualche proposta c’è stata, ma non mi è stato possibile procedere, per diverse ragioni. L’aspetto della trasmissione della cultura mi sta a cuore, in particolare della cultura religiosa. Mostrare l’importanza a livello culturale del cristianesimo, in costante dialogo con le altre discipline, compito dell’ora di religione a scuola, è per me fondamentale, fin dai primi ordini scolastici.

Non solo: la mia esperienza mi restituisce che io, a scuola, sono sempre stato accolto da colleghi e collaboratori scolastici con estremo rispetto e simpatia. Ci tengo a sottolineare questo: è splendido il rapporto che si è creato anche con colleghi distanti dalla professione di un credo religioso o dichiaratamente atei. In generale, eccetto qualche rara eccezione, non ho mai trovato ostilità o mancanza di collaborazione.

La Chiesa è in uscita. Anche a scuola

Da qui la mia teoria: perché rinunciare a stare in un ente educativo nel quale, come prete e come insegnante, sono accolto bene? Si parla molto di “Chiesa in uscita”, sulla scorta di quanto Papa Francesco ha più volte ripetuto. A me sembra di poter tradurre così l’indicazione del Pontefice: date la vostra testimonianza dove la gente c’è, senza paura di sporcarvi le mani nel mondo o di “contaminarvi” in esso, come se questo costituisse un pericolo e non il luogo dove quotidianamente ciascuno mette in gioco la sua libertà e la sua fede.

Dunque, perché non dovrei stare dove i ragazzi ci sono? Magari per poi lamentarmi, chiuso nelle nostre strutture ecclesiastiche, per il fatto che alle nostre attività ormai partecipano in pochi?  E allora stiamo là dove la gente c’è! Peraltro, io sono assolutamente certo di una cosa: se molti ragazzi si sono rivolti a me in questi anni per chiedere un aiuto, e con loro tantissimi genitori, per diversi tipi di problemi, questo è stato anche grazie alla conoscenza che di loro ho avuto a scuola, perché molti di loro, soprattutto gli adulti, non frequentano né la Parrocchia né l’Oratorio.

Chiaro, l’impegno toglie qualcosa alla pastorale parrocchiale: i pomeriggi dei consigli di classe, qualche collegio docenti e gli scrutini, così come gli esami, prendono un po’ di tempo. Tuttavia, io credo valga la pena, alla luce del bilancio di “pro” e “contro”, che un prete viva il mondo della scuola, soprattutto nella comunità nella quale vive il suo ministero. La famosa “rete educativa”, del resto, non si tesse anche così?