Le polemiche “laiciste” sui crocifissi nelle aule sono come i ritornelli dei tormentoni estivi, passano e poi ritornano, seguendo il ritmo dell’onda. L’ultima è stata innescata dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che durante un’intervista su Radio Rai 1 ha detto: “Io credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi. Non esporrei un simbolo in particolare, ed eviterei l’accozzaglia, altrimenti diventa un mercato. La foto di Sergio Mattarella nelle aule? No, neanche il presidente la vorrebbe. Meglio appendere alla parete una cartina del mondo con dei richiami alla Costituzione”.
Ciò che ci ha colpito, al di là dei battibecchi nati da questa affermazione, è l’atteggiamento di fondo: come se per offrire spazio e rispetto alle convinzioni di tutti si dovesse necessariamente dipingere i muri e le pagine di bianco, azzerando le radici, l’identità, la storia, la cultura. Dovremmo agire, quindi, per sottrazione. Come accade nella globalizzazione del cibo, però, accade che in questo processo le pietanze perdano sapore. Paradossalmente, succede la stessa cosa anche con altri seri discorsi: per evitare le discriminazioni vengono eliminate le differenze, con l’illusione di rendere tutti uguali.
Ma si tratta, appunto, di un’illusione. Nessuno di noi è una pagina bianca sulla quale la società può scrivere liberamente. Il crocifisso non è solo un simbolo religioso, e magari il segno di una fede che non è più “di massa” come cinquant’anni fa. E’ parte della nostra storia, dice chi siamo, da dove veniamo, quali valori ci hanno plasmato. E’ la prima lettera del nostro alfabeto dei simboli, parla di amore, sacrificio, coraggio e rinascita. E’ una chiave per decodificare il nostro immaginario, la letteratura, le arti, la poesia, la musica. E’ come se in nome di un presunto “laicismo” togliessimo dai programmi “La divina commedia” di Dante e “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni perché sono intessuti di cristianesimo. La libertà non sta nell’eliminazione, ma nella conoscenza. Nella capacità di dare senso, spazio, contesto a ciò che sta intorno, vicino, nel quartiere, nella città, e poi lontano nel mondo, nella storia. Sarebbe bello che la scuola (la cultura, la società) fosse così.
Come un sasso caduto nell’acqua fa molti cerchi, questo discorso non vale soltanto per presepi e crocifissi: diventa un’occasione per riflettere su chi siamo, chi vorremmo essere, in quale genere di mondo vogliamo crescere i nostri figli.