Don Giacomo Panfilo. Un ricordo, un grazie

L’ultimo video me lo aveva inviato due mesi fa: esattamente il 6 agosto. Sono andato su Whatsapp per rivederlo. Devo aver cancellato sbadatamente il file, per cui Whatsapp mi dice “Questo media non è presente. Chiedi a Giacomo Panfilo di reinviarlo”. Ora, a soli due mesi di distanza, non manca solo il file, ma manca Giacomo Panfilo. Anche le fredde procedure di una applicazione sanno svegliare il senso acuto della partenza. Don Giacomo se ne è andato. Forse ha voluto farmi l’ultimo scherzo.

Il dramma della fede

Di don Giacomo si possono ricordare un’infinità di eventi, di situazioni, di incontri e di scontri. Di una vita così piena mi vengono in mente, su tutti gli altri, due “tratti”. È il mio particolare, limitato ambito di ricordi. Il primo è una notizia, della quale non ho mai avuto il coraggio di chiedere a lui la conferma. Mi hanno raccontato persone che lo conoscevano bene che durante la malattia di tubercolosi che lo aveva colpito negli anni dal 1962 al 1968 aveva perso la fede. Non credeva più. Aveva smarrito quella “cosa” che in tutta la sua esistenza è sempre stata decisiva. Posso solo immaginare il dramma e la sofferenza di una situazione così.

La forza di ridere sulla Chiesa

L’altro tratto che mi viene in mente è, apparentemente, all’estremo opposto: è il suo piccolo capolavoro letterario che molti cattolici di Bergamo conoscono bene: “L’asina di Balaam”. Don Giacomo immagina che l’asina del profeta Balaam non solo – come racconta la Bibbia – ha parlato, ma ha anche scritto. E l’autore immagina di aver scoperto, tra i rotoli del Mar Morto, le “opere minori” dell’asina di Balaam. In realtà, in un linguaggio efficacissimo, a metà strada tra un vigoroso dialetto bergamasco e un italiano di riporto, L’asina di Balaam, si prende gioco di persone, personaggi, fisime e manie della Chiesa di allora. Mezza diocesi rise a crepapelle su quegli straordinari “frammenti”.

La libertà di un prete

Sono due tratti molto diversi ma tutti e due profondamente veri e profondamente seri. È serio il dramma della vita che mette in discussione tutto. Ma è serio, molto serio anche il ridere sulla Chiesa e sulle sue piccole e grosse magagne. In fondo, l’una e l’altra cosa, sono segni efficaci di libertà e, in fondo, di autenticità evangelica. Don Giacomo è stato serio quando ha preso atto di una messa in discussione di tutto ed è stato serio quanto ha messo alla berlina il tutto che aveva ritrovato.

Questo vorrei ricordare e di questo, soprattutto, vorrei ringraziarlo. Non posso mandargli un messaggio Whatsapp, ma forse, chissà, attraverso qualche misterioso canale, il messaggio con il mio grazie, insieme con i molti altri, gli è arrivato.