Dalla Danza macabra al Trionfo della morte, l’arte sacra e l’iconografia dei defunti

Nel corso del XIV secolo, dopo una lunga fase di crescita della popolazione, l’Europa fu vessata da una profonda crisi demografica, causata dallo squilibrio fra le risorse a disposizione e l’alto numero di abitanti. Carestie, sommosse, pestilenze ed eventi naturali catastrofici (come la disastrosa alluvione che colpì nel 1333 Firenze) si susseguirono, ad intervalli regolari, per oltre un secolo: la popolazione calò di almeno un terzo, accentuando la sensazione, largamente diffusa, di estrema precarietà dell’esistenza umana. L’esperienza quotidiana della morte, inoltre, indusse profonde trasformazioni nella sensibilità religiosa. Di fronte alla crisi, infatti, le reazioni individuali e collettive furono le più disparate: dai movimenti di pubblica penitenza ai culti incentrati sulla passione, fino alle violente persecuzioni contro ebrei e donne accusate di stregoneria. Ma soprattutto ci fu, nell’arte sacra e nella letteratura, un grande sviluppo di riferimenti a temi macabri. In tal senso, la testimonianza monumentale più antica è il Trionfo della Morte nel Camposanto di Pisa, dipinto tra 1336 e 1138 da Buonamico Buffalmacco. Altrettanto significativa, la Danza macabra conservata nel cimitero degli Innocenti di Parigi: un’opera, datata 1424, che rappresenta trenta persone di varia estrazione sociale mentre ballano con il proprio cadavere.

Anche nell’area bergamasca non mancano attestazioni artistiche di questo tipo: un esempio è il vasto affresco realizzato nel 1485 da Jacopo de Buschis, detto il Borlone, sulla facciata dell’Oratorio dei Disciplini di Clusone. Si tratta di un dipinto murale di grande importanza nella storia dell’arte, poiché costituisce una sintesi, unica in Europa, del modo in cui era rappresentato il macabro nell’iconografia tardomedioevale: come Trionfo della Morte, Incontro dei tre vivi e dei tre morti e Danza macabra. Il primo soggetto occupa la quasi totalità del registro superiore. La Morte, raffigurata come una grande regina che sottomette tutti a sé, ha le sembianze di uno scheletro trionfante che, avvolto in un mantello e con una corona sul capo, giganteggia sopra un sepolcro. Ai suoi piedi ci sono diversi esponenti del potere temporale e di quello spirituale, in una folla di personaggi che presentano doni alla Morte nel vano tentativo di sottrarsi ad essa: un monaco, ad esempio, offre un anello, un doge un vassoio di monete mentre un cavaliere una corona.

Ma la Morte nella sua veste di regina non accetta doni e la sola ricchezza che conosce è la vita delle persone, come testimonia uno dei cartigli disegnati sopra il sepolcro («no è omo così forte che da mi po’ schampare»). Nella parte sinistra dello stesso registro, si trova l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti: ovvero la raffigurazione, secondo una tradizione consolidata nel Medioevo, di un trio di cavalieri che, durante una partita di caccia col falcone, incontrarono altrettanti cadaveri in un bosco. La sezione centrale dell’affresco, invece, è occupata dalla celeberrima Danza macabra, ovvero la terza tappa – la più nota e la più diffusa in Europa – nell’evoluzione dell’iconografia della morte. L’affresco clusonese presenta una teoria di personaggi che da sinistra a destra attraversano la scena. Sono tutti tristi e preoccupati per il loro destino, accompagnati dalla caricatura del proprio cadavere che, sorridendo in maniera grottesca, ne confonde la paura. Figure certamente più umili rispetto a quelle del Trionfo del registro superiore, ma con gli stessi timori: la morte infatti ha un forte valore egalitario poiché appiattisce qualsiasi differenza socio-economica tra gli individui, al di là di doni e offerte. Infine nel registro inferiore, il peggio conservato, si possono riconoscere frammenti del classico Ciclo dei Dannati e dei Giusti: a sinistra alcune figure nude bruciano nel fuoco dell’Inferno, mentre a destra un gruppo di consacrati prega per l’ascensione in Paradiso.

L’affresco di Clusone, però, non è l’unico a tema macabro nei pressi di Bergamo. Il piccolo borgo brembano di Cassiglio, situato in Val Stabina, nasconde in tal senso diversi tesori artistici. Il tema della morte, infatti, non era poi così peregrino da queste parti, vista la collocazione geografica del paese. Cassiglio si trova ai piedi del Passo Baciamorti, che divide la zona della Val Taleggio: nei secoli passati, secondo la tradizione, gli abitanti del borgo erano soliti trasportare i propri defunti al valico, e dopo averli salutati per l’ultima volta nei pressi di una cappella, attendevano che da Pizzino, località posta sull’altro versante del monte e sede del più vicino cimitero, venissero a prelevare i cadaveri. Alla caducità della vita umana, all’ineluttabilità della morte e al suo valore egalitario fanno riferimento, in forma di dipinto murale, gli affreschi sulla facciata della chiesa di San Bartolomeo, rimasti a lungo nascosti sotto altri strati di intonaco e portati alla luce solo da recenti restauri. Databile intorno al 1468, questa Danza macabra presenta personaggi disposti su due file sovrapposte: nel registro in alto, un monaco accompagna il papa, riconoscibile per la tiara, mentre alcuni nobili seguono l’imperatore che, con in mano scettro ed orbe terraqueo, simboleggia il potere temporale sul mondo; nella seconda fascia, invece, più rovinata e meno leggibile, si distinguono figure femminili e scheletri con lunghe chiome bionde.

Tematica pressoché simile, ma realizzazione diversa e singolare sulle pareti di Casa Milesi, una delle parecchie abitazioni private costruite nel tempo sullo stesso nucleo della chiesa di San Bartolomeo. L’affresco settecentesco non è propriamente una Danza Macabra, in senso stretto. Quanto piuttosto un dipinto riferibile al filone del memento mori, popolare nella pittura cristiana della Controriforma, il cui esempio più tipico è quello di un teschio posizionato accanto a fiori, o episodi – come in questo caso – in cui la morte avvicina i vivi, occupati dalle loro attività mondane. La scena macabra, presente nel registro superiore, è sostanzialmente tripartita: sulla sinistra un cantante e un suonatore di mandola, in abiti settecenteschi, eseguono una serenata per una dama affacciata alla finestra, commissionati dal signore-innamorato che osserva defilato; al centro invece uno scheletro arciere, seguito da due anziani in catene che si incamminano lentamente da destra, punta l’arco proprio contro quell’uomo intento a corteggiare. Nel registro inferiore, sono presenti curiosamente alcuni animali, tra cui un orso, una scimmia e un cane.