La memoria salamida

La poeséa come la memòria salamida (sincarlina)  ’n del servèl e una lettera di Nic Panetta.

Mi ha scritto Alfredo (Nic) Panetta, amico che stimo, che mi è caro e che l’è ün bvavo pueta dice Franco; Nic scrive le  poesie nella sua parlata calabrese e le sue parole si sentono venire su, onde sonore, da un pozzo profondo.  Abbiamo fatto e facciamo cose di poesia insieme, compreso andare in giro stroleghécc (zingaranti) a declamare la nostra roba, come questa estate fuori da un bar sui navigli a Milano. Nelle sue lettere qui proposte parla della mia e della sua poesia come lo sguardo rettile verso le nostre esperienze….. Lo ringrazio con affetto Nic Panetta, per come è lui, per quello che scrive e per le due poesie condivise.

 

Milano, 22/10/2019

Caro Maurizio,

negli ultimi anni abbiamo condiviso numerosi spazi di lettura, facendo dialogare i nostri versi. Mi sento ormai tuo fratello di penna, spero sia la stessa cosa per te. L’altra mattina, parcheggiata l’auto per una sosta caffè, ho preso degli appunti sul diario. Devi sapere che la mia Dacia Sandero è luogo di ispirazione. Ci passo 4/5 ore al giorno e dentro l’abitacolo ascolto musica,  elaboro pensieri, recito versi, rifletto sulla poesia degli altri. Uso lo spazio dell’auto anche come ufficio, ma questo è un altro capitolo. Stasera, con più calma, metterò ordine a queste note, che ti consegnerò non appena avranno trovato una forma decente.

Mi ha sempre colpito l’oralità dei suoi testi, arricchita dalla tua interpretazione dal forte impatto emotivo. Sai far vibrare le parole come pochi. Mi piacerebbe imparare ad essere altrettanto efficace, ti chiederò delle lezioni, stanne certo.

Ti dirò due parole su Resistense, uno dei libri più significativi del tuo percorso artistico. E poi farò un paio di considerazioni personali nello specifico di alcuni testi.

Resistènse. Già il titolo è una dichiarazione, non solo di poetica. So quanto tu sia impegnato nel sociale e questo ti fa onore: hai la mia stima incondizionata. Chi deve resistere e a che cosa? Tutti dobbiamo resistere, mi sembra tu voglia significare. Devono resistere gli animali e le piante, i lavoratori della terra e della città, devono resistere le donne di Srebenica. Mi permetto di cogliere un monito verso l’agire, un monito che la voce cristallina dei tuoi versi irrobustisce fino a trasformarlo in un imput etico. Per me, almeno è così. Resistere vuol dire ritrovare le proprie ragioni, il proprio senso di stare nel mondo. E quale arte può fare meglio della poesia? Quale registro migliore di quello dialettale può aiutarci a tornare alle ragioni e alle voci prime e primordiali? E così passo, di conseguenza, allo specifico dove i tuoi versi incontrano i miei. Sono due gli aspetti in particolare che mi preme di considerare: lo sguardo bambino sul mondo e la memoria rettile. Analizziamo la mia Luna e il tuo Geco.

 

A LUNA ‘I  “GIAMPERRANTI” di Alfredo Nic Panetta. Letta dall’autore

OL GÉCO di Maurizio Noris. Letta dall’autore

 

A LUNA ‘I  “GIAMPERRANTI”

Quandu a luna si curca
arretu è cerzi ‘i “Gianperranti”
pappuma ncigna u nterra
simenzi ‘i panìculu.
Una esti p’o canthu du scropìu
cusì lenthu chi marteja nta ll’ossa
n’autru è p’a jornata ‘i sidura
chi sulu ‘u vinu si fida pummu sciuca
e na junta ntera a’ fini pè l’acqua
d’a vineja chi smovi i pali du mulinu
(cusapi quantu passa ‘i tandu a du matinu
cu sa quanta farina finu all’eternità.)

Mberzù sup’o timpuni, ppizzatu
nta nu cùfalu di timpa, guarda ‘u cielu
‘n ziafrò. Dinta è sò occhji staju
‘i jà notti, chija chi nescì mama.

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LA LUNA DI  “GIANFERRANTE”. Quando la luna si corica / dietro le querce di “Gianferrante” / mio nonno materno comincia a interrare / semi di granoturco. / Uno è per il canto dell’assiolo / così lento e martellante nelle ossa / un altro è per la giornata di sudore / che solo il vino riesce ad asciugare / ed una manciata intera / per l’acqua del ruscello che muove / le pale del mulino (chissà quanta / ne scenderà da lì fino al mattino, chissà quanta farina / fino all’eternità.) // In alto presso il colle, ficcato / nell’incavo di un dirupo, fissa il cielo / un ramarro. Dentro i suoi occhi abito / da quella stessa notte, in cui nacque mia madre.

 

OL GÉCO

Öna lösertina
co la cua lifròca
la ma traèrsa ’l cél
e la streùlta matòca
ol plafù
de la stansa.

La se pòsta a piómb
sö i spalancade  nìole
de la me bóca
e per ön àmen
co la sò cansù
la sta ’n balansa.

Stèss compàgn
d’ö sul pissèn
spóssa la lèngua pitòca
la ma sirca l’ànima
per töcc i cantù
ma co la creansa.

Ülcera teruna
che sfarlòca
sènsa turciù
de pansa.

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IL GECO. Una lucertolina / con la coda scioperata / mi attraversa il cielo / e stravolge matocca / il soffitto / della stanza. // Si posta a piombo / sulle spalancate nuvole / della mia bocca / e per un attimo / con la sua canzone / sta in bilancia. // Simile / a un sole piccolo / dietro la lingua pitocca / mi cerca l’anima / dappertutto / ma con creanza. // Ulcera terrona / che sfarlocca / senza dolori / di pancia.

 

noi sui navigli questa estate…..
noi sui navigli questa estate…..

Nel tuo Geco, oltre a una calibrata misura del verso, colgo la cantilena che si trasforma in filastrocca colta (matocca-bocca-pitocca-sfarlocca) oppure (stanza-balanza-creanza-panza). Questa poesia rappresenta la magia del gioco delle parole che mi fa tornare bambino. Il Geco che ti cerca l’anima è la proiezione della natura rettile che tutti conserviamo. Natura rettile che la parola poetica riesce a portare alla luce.

Nella mia Luna contrappongo i versi più sonori ed espressivi  (cerzi-simenzi-marteja-smovi-mberzù-ppizzatu-ziafrò) a quelli più gutturali e quindi primordiali della vocale meno usata (pappuma-paniculu-lenthu-pemmu-mulinu-matinu-timpuni-cufalu). Come a dire un gioco musicale tra bassi e alti, tra mugugni animaleschi e derivazioni onomatopeiche. Il mio sguardo di ramarro è il desiderio di penetrare la vita senza veli, senza artificio. Ed è ciò che dovrebbe fare la poesia.

Non per niente, caro Maurizio, mi sento me stesso soprattutto quando scrivo. Mi piacerebbe confrontarmi con te su questo tema. Scusami la digressione, ne parleremo.

Per completare il discorso, Maurizio, penso ad altri due testi del nostro lavoro di poesia. La Sincarlina e Agru e duci. E’ incredibile quali sinergie ci siano tra questi due testi. Entrambi, riferendoci alla salamandra, usiamo in traduzione il verbo appiccicare. Entrambi ci interroghiamo davanti al mistero dell’ascolto. Tu ascolti gli spiriti che giocano alla morra, io le voci della notte che provengono dalla cantina.  Entrambi ci confrontiamo col sentimento della paura. Le mie paure dei sogni in agguato contro la tua mancanza di paura. In conclusione, Maurizio, nei due testi recuperiamo le sensazioni prime della vita. Ripercorriamo l’età dell’innocenza e  quello sguardo trasformiamo in versi. Mi colpiscono e attraggono del tuo dialetto i diversi termini con finale consonantica. I nocc, i occ, rescot, rotond, precis, paracarr.

LA RESISTÈNSA DE LA SINCARLINA di Maurizio Noris. Letta dall’autore.

AGRU E DUCI di Alfredo Nic Panetta Letta dall’autore.

 

LA RESISTÈNSA DE LA SINCARLINA

Ga fó cóntra
ai spine de la nòcc
i ma ‘infilsa i öcc
e i se nascónd
ürtighe bagasse
per desprése.

La sènte mia la resù
che la völ rescöt
co ’l sò tónd
ol suraprése.

Cóme öna sincarlina
sö ’l stradù
a sirche ’l zàld precìs
chèl  rotónd
fina a bunura.

Rèste lé a tachì
co la mé préda
resentada
de fónd
e gh’ó mia pura.

Rèste lé per mé cönt
scólte i spérecc di paracàrr
che i zöga a la mura.

LA RESISTENZA DELLA SALAMANDRA. Gli faccio contro / alle spine della notte / mi infilzano gli occhi / e si nascondono / ortiche bagasce / per dispetto. // Non la sento la ragione / che vuol riscuotere / col suo piatto / il sovrapprezzo. // Come una salamandra / sullo stradone / cerco il giallo preciso / quello rotondo / fino a buonora. // Resto li appiccicata / con la mia  pietra / risciacquata / di fondo / e non ho paura. // Resto lì da sola / ascolto gli spiriti dei paracarri / che giocano alla morra.

AGRU E DUCI

Nt’e primi penzeri d’a vita
stacìa  pe’ uri cu ll’occhji
mpiccicati nto  muru
e mancu m’addunava
d’a testa d’a salamida
chi si girava p’a finestra
o i ccà ‘i mmìa. I vuci
chi murmurijanu i notti
non capiscìa ammata
se venianu d’a terra
frisca zappata o s’èranu
‘i paghuri nguattati d’i sònnura.

Ò bbrisciri mi spettava mè pappui
u jamu all’angra, ca ‘i limiuna
potìanu mpurriri all’inthrasatta
e a chi servìanu doppu?

DOLCE E  AMARO. Nei primi pensieri della vita / stavo appiccicato per ore / con gli occhi al muro / me non m’accorgevo / della testa della salamandra / che si girava ora verso la finestra / ora verso di me. Le voci / che mormoravano di notte / ancora non percepivo / se venissero dalla terra / fresca zappata o se erano / le paure dei sogni in agguato. // All’alba mi aspettava mio nonno / per andare al giardino, ché i limoni / così dolceamari in quelle annate / potevano marcire all’improvviso / e a che sarebbero serviti dopo?

 

 

 

25/10/2019

Mentre con la Dacia attraverso il ponte Brunelleschi in zona Giambellino, la mia mente si concentra su una parola: raccoglitori. Uno dei primi mestieri degli uomini. I poeti sono anche questo, Maurizio: raccoglitori di voci e di parole. E di tutto ciò che le voci e le parole mostrano e nascondono. Ogni volta che scriviamo, ogni volta che leggiamo, noi offriamo i nostri “frutti di bosco” al lettore. E, di conseguenza, le stesse lingue possono nutrirsi l’una con l’altra, come succede in questo breve confronto tra il tuo bergamasco di Albino e il mio calabrese della Locride.
Siamo gli eredi di un sapere e di un saper fare lontanissimo nel tempo. Non c’è bisogno di scomodare Jung con la sua tesi dell’inconscio collettivo. Quello che importa sono le voci, le voci che resistendo continuano ad esistere. Come esisterà la poesia che non è un privilegio esclusivo di alcuni eletti ma un dono pregiato per tutta la comunità umana.

Un abbraccio
Alfredo Panetta

Alfredo Panetta è nato nel 1962 a Locri (R.C.). Nel 1981 si trasferisce a Milano dove tuttora vive e lavora nel settore infissi in alluminio. Scrive nella lingua madre, il dialetto calabrese del basso ionico reggino. Suoi testi sono apparsi su varie riviste, tra le quali Nuovi Argomenti, Tratti, Il Segnale, Gradiva. Ha pubblicato 4 raccolte complete, di cui la prima Pethri ‘i limiti (Pietre di confine, Moretti&Vitali) del 2005 e l’ultima Thra sipali e sònnura (Tra rovi e sogni, Punto e a Capo) uscita l’anno scorso. Ha vinto vari concorsi letterari, tra i quali il Montale, il Gozzano, il Noventa-Pascutto,  il Pascoli e recentemente il Di Liegro a Roma. E’ membro di giuria dei premi letterari “Città di Galbiate” (LC) e “Daniela Cairoli” (CO).  Organizza laboratori di poesia in due scuole primarie, a Lecco e a Gallarate.