Politica e parola

Foto: Luciano Manicardi, priore di Bose

La scorsa settimana ho acquistato un librettino di Luciano Manicardi, priore di Bose, dal titolo Spiritualità e politica.Si tratta davvero di un piccolo testo, 80 pagine pubblicate su un supporto cartaceo che sta in una mano, ma di una ricchezza straordinaria.

Qui vorrei soffermarmi su alcune sollecitazioni che il biblista Manicardi suggerisce a riguardo del rapporto intercorrente tra parola e politica, snodo che mi sembra davvero decisivo, soprattutto in questi tempi nei quali, a livello politico, regna una gran confusione. Tutti parlano, tutti hanno la loro opinione da dire, ma pare ben poca la percezione che queste persone hanno dell’importanza della parola pronunciata o scritta.

L’uomo “animale politico”

Manicardi avvia la riflessione a partire dalla definizione aristotelica di uomo come zoòn politikóne zoòn lógon échon: l’uomo è animale politico ed è l’unico animale che abbia la parola. Con la parola l’uomo indica ciò che è utile e ciò che è dannoso, ciò che è giusto e ciò che non lo è. Per questo, afferma Hannah Arendt, la parola ha un ruolo fondamentale nell’edificazione della polis: “Essere politici, vivere nella polis, voleva dire che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza”.

Nella democrazia la parola è fondamentale, perché è lo strumento che elabora spazi sostitutivi della violenza e rende possibile la convivenza sociale e la soluzione delle conflittualità che esistono nella società. Tuttavia, questa parola decisiva per la politica risulta costantemente esposta a corruzioni che possono minare la salute della democrazia: questo rischio si pone a molteplici livelli.

Può succedere che da parte di responsabili della cosa pubblica, o dai mezzi di informazione o altri ancora la parola possa essere svilita, abusata, volutamente distorta: in questo modo, si destabilizza il terreno di intesa democratica.

La parola tradita e uccisa

Non è un caso, annota Manicardi, che il principio di ogni forma dittatoriale consista proprio nell’uccisione della parola: in questo caso, una volta privata la parola del suo potere, si passa dal potere della parola alla parola del potere, dove conta solo quanto afferma il capo. Quando avviene questo tradimento della parola, viene meno la fiducia, ingrediente necessario alla politica democratica.

Altro abuso della parola è quando questa è continuamente ritrattabile, riducendola a una sorta di barzelletta. Poi, vi è la falsificazione delle parole, che avviene assai spesso, come ricorda il priore di Bose, ad esempio quando “l’azione di sganciare bombe o lanciare missili su un paese straniero non si chiama bombardamento, ma  missione di pace o intervento umanitario”.

Il culmine del male possibile alla parola e, di conseguenza, alla buona politica, si raggiunge con la menzogna. Qui si giunge ad occultare la verità, a distorcere il significato degli eventi, a presentare fatti non veri che poi, nel sistema perverso delle comunicazioni, a forza di essere ribaditi, vengono considerati veri e finiscono per incidere sulla realtà.

L’ascesi della parola

Che fare, dunque? Sulla scorta di quanto insegna Max Scheler, che dice “L’uomo è colui-che-può-dire-di-no”, è l’asceta della vita, colui che in vista della propria umanizzazione compie un’ascesi anche della parola, è necessario prendere coscienza del fatto che il prezzo da pagare per la parola veritiera è alto, altissimo.

La storia, del resto, ci restituisce che ci sono state persone che sono morte per difendere le parole. Sono i martiri della parola. Se ci pensiamo bene, Socrate e Gesù non hanno mai scritto nulla, ma la loro parola ha mostrato una potenza e una forza capaci di attraversare i secoli.