I sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi mercoledì 20 novembre alle 20.45 al Centro Congressi Giovanni XXIII di Bergamo in viale Papa Giovanni presentano il volume «La scommessa cattolica. C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?», dialogando con il vescovo Francesco Beschi, con il preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale don Massimo Epis e con Rosa Gelsomino, già coordinatrice della Consulta diocesana delle aggregazioni laicali. L’ingresso all’incontro è libero. Sono specialmente invitati a prendervi parte i membri dei consigli pastorali delle Cet, le Comunità ecclesiali territoriali. Introduciamo la serata con un’intervista agli autori.
“C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?”, recita il sottotitolo del saggio. A questa domanda cerca di rispondere “La scommessa cattolica” (Il Mulino 2019, Collana “Contemporanea”, pp. 200, 15 euro), scritto a quattro mani da Chiara Giaccardi e Mauro Magatti.
Gli autori, marito e moglie, sette figli, entrambi sociologi, si domandano su quale sia il ruolo dei cattolici in una società sempre più secolarizzata come la nostra. Duemila anni di storia, un miliardo e trecento milioni di fedeli: apparentemente la Chiesa cattolica gode di ottima salute. Ma non è così. Assistiamo ormai da anni a un crollo della partecipazione religiosa nelle società più avanzate, i giovani e i ceti più colti disertano la Chiesa considerata “pachiderma immobile”, per non parlare di una sensibile riduzione delle vocazioni. Ricordiamo inoltre la perdita di reputazione causata dagli scandali finanziari e dagli abusi sessuali. Quindi la Chiesa cattolica romana è sì un’organizzazione solida e ancora autorevole ma appare invecchiata, impacciata, irrigidita, soprattutto in Europa, dove la maggioranza della popolazione che ha meno di 30 anni è indifferente e apatica rispetto alla “questione Dio”. Quando passerà la generazione di chi oggi ha 70 anni e più, la Chiesa del Vecchio Continente, già assottigliata, potrebbe ritrovarsi con un numero esiguo di fedeli. È per questo che Giaccardi, che insegna Sociologia e Antropologia dei Media presso l’Università Cattolica di Milano dove dirige anche la rivista “Comunicazioni Sociali”, e Magatti interrogandosi sulla presenza sociale dei cattolici, si chiedono se ci sia ancora spazio per la “buona novella” cristiana nel mondo di oggi.
Di questo e molto altro dialoghiamo con Mauro Magatti, professore di Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano e editorialista del “Corriere della Sera”.
Nel saggio scrivete che “occorrerebbero, piuttosto, parole in cammino, che cerchino di dare voce e forma al diffuso senso di precarietà”. Bisogna dunque possedere il coraggio di farsi pellegrini nel mondo?
«Servono parole in cammino perché in questo momento è la Storia che è in cammino. Le parole che noi utilizziamo servono ad aiutarci ad attraversare il tempo che viviamo. Anche per quanto riguarda i temi della tradizione e della fede bisogna sempre trovare un punto di equilibrio tra la conservazione di ciò che la tradizione ci ha lasciato in eredità e la capacità di adeguare la tradizione al tempo che si vive».
Anche l’Europa non è messa bene. Infatti il Vecchio Continente pur essendo potenza economica, rimane “nano politico”, alle prese con un invecchiamento non solo demografico, ma prima di tutto spirituale. Che cosa ne pensa?
«In questi ultimi anni abbiamo assistito a una grande protesta nei confronti dell’Europa, la quale per una serie di ragioni è diventata un tipo di organizzazione che risponde a preoccupazioni economiche, finanziarie, di buon funzionamento del sistema. Ma tutto questo non è sufficiente per creare un senso di appartenenza politica, un qualche tipo di vita politica anche in forma innovativa ha bisogno di una ragione, di un senso, di un ideale e di attenzione, cosa che l’Europa è stata poco capace di esprimere. Il problema non sono le radici cristiane dell’Europa ma se la Chiesa cattolica e le altre confessioni siano capaci di dare un contributo al futuro dell’Europa, cioè chiedere all’Europa che cosa aspira a essere. In questo senso essenziale è il contributo del pontificato di Bergoglio».
Papa Francesco, il primo pontefice non europeo che sta cercando di far intravedere alla Chiesa del Vecchio Continente una via per uscire dalle secche in cui si ritrova, mette in pratica il concetto di “Chiesa di popolo” recandosi nelle periferie esistenziali. Si può parlare ancora di “popolo” in Europa, dove l’io sembra essersi sostituito a Dio?
«Il popolo è il problema in Europa. Bisogna ricostituirlo, ascoltandolo, prendendo sul serio quelle che sono le istanze delle persone che sono disorientate e che non capiscono le indicazioni che vengono dai vertici della società, dal mondo della finanza, della tecnologia, dalla tecnocrazia per esempio. Questo disorientamento è pericoloso. Se c’è un continente dove c’è un processo di secolarizzazione, cioè quasi sparizione del sentimento religioso, è l’Europa. Dovremmo ascoltare con più umiltà, dismettendo i panni dei “sapientoni”, le parole del primo pontefice non europeo. Allora potremmo provare nuove vie. In Europa è forte la spinta individualistica, più che popolo ci sono le masse e le masse sono facilmente manipolabili. Il popolo non è una massa manipolata da qualche leader, il popolo è una carovana solidale, fatta di diversità, qualcuno corre avanti, qualcuno rimane indietro, dove alla fine si trova sempre il modo di procedere insieme, sempre essendo capaci di ospitare una pluralità di opinioni. Lo vediamo chiaramente che la distruzione per via individualistica del popolo produce la massificazione e la moltiplicazione dei populisti».
In un paragrafo del volume scrivete che l’uomo moderno è come il figliol prodigo della celebre parabola. Desidera chiarire la Vostra riflessione?
«L’uomo moderno, cioè l’uomo europeo si fa consegnare la sua eredità che proviene da millenni di storia cristiana decidendo di uscire da questo involucro della cosmologia cristiana immaginando di stare in piedi solo sulle sue gambe. Tutti noi siamo figli di quella storia, qualcuno anche all’interno della Chiesa immagina di essere come il primo figlio e non ne è ma uscito. Posizione legittima, ma forse non è esattamente quella che nel Vangelo si intuisce essere quella prediletta dal Padre. La storia della libertà moderna, della quale oggi vediamo i rischi e le contraddizioni, è un passaggio fondamentale del disegno della creazione, così come del resto emerge dalla Bibbia e dal Nuovo Testamento. Riconoscere ciò è fondamentale per riaprire la scatola della modernità e riannodare un filo che si è molto usurato nel corso dei secoli, e che oggi è a rischio di spezzarsi».
Infine possiamo chiederLe quale sia all’inizio del XXI Secolo in questa “globalizzazione della modernità” la via per creare una società più umana?
«La modernità può essere pensata come il figlio che decide di andare per conto proprio. La modernità è figlia della cristianità e dalla cristianità ha imparato questo movimento dell’andare oltre. La vita che passa dentro la nostra persona non è contenuta dalla nostra persona, solo correggendo questo movimento che la modernità intuisce ma fa in maniera sbagliata, che il Cristianesimo può dare il suo contributo alla vita moderna. Il problema è correggere e aiutare l’uomo contemporaneo, andare oltre sé significa accettare di perdere e di passare attraverso la morte che ci fa ritrovare la vita».