«Penelope», il centro anti-violenza di San Pellegrino Terme: un aiuto alle donne in difficoltà

Un cambiamento culturale, in modo che donne e uomini possano avere uguali diritti e doveri, indipendentemente dal genere a cui appartengono. È la speranza del centro antiviolenza «Penelope» di San Pellegrino Terme, che, aperto l’8 marzo 2018 dalla cooperativa Sirio, presso Villa Speranza (via San Carlo), opera sul territorio della Valle Brembana e della Valle Imagna.
«L’idea di questo centro nasce più di un anno fa, grazie alla volontà, da parte di Ats Bergamo, di dar vita a una rete antiviolenza che potesse interessare la Valle Brembana, la Valle Imagna e Villa d’Almè e aiutare le donne vittime di violenza – spiega Cinzia Mancadori, responsabile del centro –. Fino al momento dell’inaugurazione di “Penelope”, infatti, nella provincia bergamasca esistevano solo due reti antiviolenza: quella di Bergamo (che comprendeva anche l’Ambito di Dalmine) e quella di Treviglio, attivata, da 15 anni, dalla nostra cooperativa, di cui faceva parte anche l’Ambito di Romano di Lombardia». Un’idea che non avrebbe visto la luce, però, senza il bando di finanziamento ad opera di Regione Lombardia. «Il requisito fondamentale per aderire al bando di gara era che l’ente gestore avesse già un accreditamento regionale – afferma Mancadori –. Data la nostra esperienza ultradecennale, abbiamo quindi potuto partecipare al bando e avuto la possibilità di fare un’esperienza diversa, in un territorio molto lontano da quello in cui, da anni, stavamo operando. Il CdA ha deciso di investire tempo e dedizione, affinché le due valli potessero avere un servizio dignitoso, che potesse rispondere, in modo efficace e puntuale, alle domande delle donne in difficoltà».

Un’equipe di specialisti per combattere la solitudine

La rete antiviolenza offre anche quattro appartamenti, sul territorio di Treviglio, in cui vengono accolte le donne che hanno bisogno di particolare protezione. «L’attività prevalente del centro è quella dell’accoglienza, sia di persona, che via telefono – illustra Mancadori –. Alla donna, dopo questo primo ascolto che delinea problemi, bisogni ed esigenze, viene offerto un percorso di fuoriuscita dalla violenza, in cui possono essere coinvolte altre operatrici di “Penelope”, come assistenti sociali, psicologi e avvocati: figure che formano l’équipe del centro (una decina le persone impiegate), che affiancano e accompagnano la donna, cercando di aiutarla a comprendere meglio la propria situazione. Trovo importante sottolineare come, al centro, le donne non vengano costrette a fare nulla che non vogliano fare; ma è anche vero, purtroppo, che il maltrattamento (fisico, sessuale, psicologico ed economico) subìto, fa sì che, spesso, la vittima pensi di essere sola (e l’unica a vivere una situazione del genere), incapace di prendere qualsiasi decisione in autonomia, senza il proprio uomo. Il nostro sostegno, dunque, è anche morale: cerchiamo di fare capire alla donna che questi pensieri, oltre che essere disfunzionali, non sono veri, che la colpa della violenza non è sua e che una via d’uscita c’è sempre».

Il primo abuso è psicologico. Rompere il silenzio è difficile

Diverse le donne che il centro, a quasi due anni dalla sua fondazione, sta aiutando. «Ora come ora, sono quaranta le donne di cui ci stiamo occupando – afferma Mancadori –. Il dato è positivo: del resto, stiamo coprendo un territorio che non ha mai avuto idea alcuna a riguardo di queste tematiche; un territorio, quello vallare e di montagna, periferico, che risente di una mentalità atavica chiusa, nella quale la donna ricopre e deve ricoprire un ruolo ben preciso: è complicato uscire da certe convinzioni. Dai dati Istat, sappiamo che la violenza è diffusa: immaginiamo, quindi, come il sommerso sia enorme. Ma le donne che si fanno avanti, pronte a chiedere aiuto, stanno aumentando». Ma perché la violenza? «Alla base della violenza, c’è la volontà di possesso: il sopruso viene utilizzato per schiacciare e relegare la donna al proprio volere e ai propri bisogni – spiega Mancadori –. Non sempre questo sopruso è fisico, al contrario: il tutto ha origine con la coercizione psicologica; botte e abusi sessuali si palesano successivamente, quando la donna stenta ad accettare il predominio del proprio carnefice, quando isolamento e umiliazione generano una reazione nella vittima, è in quel momento che l’uomo cerca di recuperare il terreno perduto, attraverso violenza fisica, minacce e paura. Atteggiamenti che evidenziano un processo educativo e culturale pieno di lacune, che stenta a far comprendere alle persone (non solo agli uomini) come la libertà degli altri sia un bene fondamentale e come un individuo sia libero di prendere determinate decisioni, anche quando esse non sono quelle che ci si aspetta. Per questo, dobbiamo insegnare ai nostri figli e alle nostre figlie ad accettare i no e a capire che chiunque può fare scelte diverse da quelle che noi reputiamo giuste». Un operato, quello di «Penelope», che non vuole giudicare.

Un percorso di recupero anche per chi maltratta

«Gli uomini che maltrattano le donne, spesso, sono persone poco abituate al rispetto, con vicissitudini personali non facili – afferma Mancadori –. Ad ogni modo, noi non li giudichiamo: non sono loro ad essere cattivi, sono le loro azioni ad essere malvagie. Per questo, vogliamo credere che ci sia la possibilità di recuperare questi uomini, che, ovviamente, devono però prendersi la responsabilità del loro agire. Solo facendo capire loro dove e perché stanno sbagliando e agendo così sulla recidività, si possono impedire ulteriori violenze (anche su altre donne). Consci che una violenza è, prima di tutto, un reato, agiamo, allo stesso modo, anche sulla donna: anche lei deve capire i motivi che l’hanno spinta a instaurare una relazione insana, così da non inciampare più nelle medesime dinamiche. Non si può essere vittima tutta la vita: pure le donne devono attuare un processo di cambiamento. Ne va della salute dei figli che, dimenticati da tutti, soffrono, spesso, una situazione terribile. I figli, infatti, hanno bisogno di crescere in un ambiente sano, dove sia ben chiaro la differenza fra bene e male, dove non ci sia confusione fra amore e violenza». Il centro antiviolenza «Penelope», che, l’anno scorso, ha dato vita a due sportelli di primo ascolto anche in Valle Imagna (Sant’Omobono Terme ed Almenno San Bartolomeo), è impegnato, in prima linea, in diverse campagne di sensibilizzazione e prevenzione (anche grazie alla collaborazione con l’Istituto «Turoldo» di Zogno e quello Comprensivo di Almenno): «Gli interventi nelle scuole sono importanti, sia per le ragazze, che per i ragazzi – spiega Mancadori –. L’auspicio è che la società, dalla cultura agli stereotipi di genere, passando per tutto il palinsesto pubblicitario, possa cambiare. La provincia di Bergamo, quest’anno, registra già due donne vittime di femminicidio: quando una donna viene uccisa, è una sconfitta per tutti».