Il Papa si è arrabbiato. Viva il Papa

Se ne sono dette e scritte di tutti i colori. Più del bene che fa quotidianamente, ha fatto notizia il fatto che il Papa abbia reagito a una fedele che lo ha strattonato, atto al quale sono seguite, il giorno dopo, le sue scuse, durante l’angelus (peraltro, non mi sarebbe dispiaciuto avesse chiesto scusa anche la maleducata fedele… ma lasciamo stare). Al gesto del Papa ha fatto seguito un clamore enorme.

Alcuni interventi sono stati eccellenti, ad esempio la rilettura dell’accaduto di Padre Antonio Spadaro su Famiglia Cristiana; altri sono stati pronunciamenti deliranti ai confini del patologico grave, quale il testo dell’ex vaticanista Aldo Maria Valli, ormai degno di dottorato di ricerca in diffamazione sistematica e risentita verso il Pontefice. Su chi poi bacia rosari, sbandiera vangeli e poi irride il Papa, stendiamo il vecchio ma sempre opportuno velo pietoso.

Il dovere di arrabbiarsi

Da parte mia, il riferimento a quanto accaduto vorrebbe aprire a una riflessione più ampia. Vorrei spendere qualche parola sul fatto che non solo il Papa, ma anche il prete abbia diritto (e a volte anche il dovere) di arrabbiarsi. Questo, dal mio punto di vista, per diverse ragioni.

Innanzitutto, perché siamo persone. Capita, talvolta, che quando qualche parrocchiano ci vede arrabbiati, dica bonariamente: “Capisco, in fondo anche voi siete persone…”. Conosco bene l’affetto della mia gente e capisco cosa vuol significare con questa espressione. Ma mi permetto di correggerla: non “in fondo”, ma totalmente i preti sono persone! Mi sembra permanga ancora, talvolta, l’idea che il sacramento dell’ordine ci renda superuomini, che devono esserci sempre e non manifestare stanchezza (tanto i preti mica lavorano in fabbrica… cosa avranno poi da fare?), avere sempre il sorriso sulle labbra, dire sempre “sì” e subire tutto senza contraccolpi, come Bud Spencer che le prendeva da dieci persone, non sentiva nulla, poi si divincolava ed erano botte da orbi per gli avversari. Eh no, non è così. Siamo persone, che come tutti hanno le loro gioie e i loro dolori, le loro fatiche e preoccupazioni, pregi e difetti, doti e incapacità, giorni di brillantezza e altri di stanchezza fisica o mentale. Come tutti.

Questo, talvolta, si unisce a un concetto distorto di misericordia (come ben si è visto anche in alcuni articoli sulla reazione del Papa, scritti da gente che si crede sapiente). Per alcuni, misericordioso sarebbe colui che, sempre con un sorriso inebetito stampato sulle labbra, dovrebbe sempre dire che va bene tutto e, se viene maltrattato, rispondere con un dolce “va bene così, non fa niente”. Ora, questo non soltanto denoterebbe una persona disturbata e non misericordiosa, ma nemmeno evangelica. Il Vangelo chiede la purezza del cuore, è vero, ma questa si ottiene con la fatica della ricerca della verità! Il compito del prete è aiutare la sua gente a fare verità su di sé e su quanto vive, alla luce del Vangelo. E questo, come Gesù ha mostrato in modo chiaro ai mercanti del tempio con la sua reazione, richiede a volte anche un’arrabbiatura e una gestualità che dica chiaramente che non va, che così non si può proseguire.

Alla ricerca della verità

Non è semplice e indolore cercare la verità! Questo lo sa chiunque abbia provato a giocarsi seriamente nella vita (perfino una canzone di qualche decennio fa riconosceva che la verità fa male… perché ti mette di fronte a ciò che sei, non a come ti immagini o vorresti essere!).

Mi permetto alcuni esempi, anche per esperienza personale. Quando un sacerdote viene aggredito verbalmente per una scelta fatta e non condivisa, cosa dovrebbe fare? Tacere? Ben venga il confronto, ma di insulti non ne accetto! E se ci sono persone che, senza saper nulla, si inventano esperte di pastorale o pedagogia, diffondendo idee sulle questioni della parrocchia che non corrispondono al vero, i preti dovrebbero lasciar correre? Io credo che, al contrario, la loro parola, pronunciata con chiarezza, sia necessaria, se vogliono essere pastori di una comunità.

E se vengo fatto oggetto di calunnia, magari da persone attive nella comunità cristiana, e mi trovo con fidanzate che non ho o con accuse di avere interessi economici su qualche lavoro nelle strutture della comunità? Devo sorridere? No, mi dispiace. Per carità, non reagirò con cattiveria, cercherò col tempo di perdonare, ma un provvedimento che tolga a queste persone, almeno per un po’, il contatto con i ragazzi o il ruolo educativo, considerata l’immoralità del gesto compiuto e il pessimo esempio dato, per me è giusto e necessario, non solo possibile.

Sono solo esempi, che spero siano utili a capire la concretezza della vita cristiana, che produce splendidi germogli, ma che qualche volta fa incontrare qualche dolorosa spina. Eh sì, il Papa si è arrabbiato. Viva il Papa.