Hammamet, la parabola di Craxi. Una storia finita male

Hammamet, plurale di hamman, significa “bagni”. In questa cittadina, fondata in epoca romana sulla punta che sporge nel golfo omonimo, giace un pezzo di storia italiana. Sotto le mura della fortezza che Carlo V fece costruire per scoraggiare gli assalti dei pirati saraceni alle coste spagnole, francesi e italiane ci sono due cimiteri. Quello che digrada verso la spiaggia è arabo. Quello sotto le mura è cristiano: i nomi sulle tombe annerite dal tempo sono soprattutto francesi. Dal 19 gennaio del 2000 ce n’è una in marmo bianco; vi campeggia una scritta: “la mia libertà equivale alla mia vita”. E’ la tomba di Bettino Craxi.

La sua morte in esilio volontario o “in contumacia”, come qualcuno sottolinea impietosamente, continua ad interrogare la coscienza pubblica del Paese, perché la sua vicenda coincide con quella tormentata e ancora irrisolta della Prima repubblica. La discussione, in parallelo all’uscita del film “Hammamet” di Gianni Amelio, si è riaccesa.

Dopo il film di Amelio, la discussione

Del suo esito fallimentare – “una storia finita male” secondo il figlio Bobo – e tragico sono state fornite in questi giorni spiegazioni, che contengono tutte spezzoni di verità. Secondo Claudio Martelli, la coalizione di “poteri forti” della finanza e dell’industria, appoggiata internazionalmente, si è opposta al riformismo di Craxi. Secondo Fabrizio Cicchitto, la Magistratura, emersa quale nuovo potere dalla crisi della politica, è la principale colpevole. Secondo Umberto Ranieri, storico migliorista del PCI, Craxi non ha visto la crisi del sistema politico, sviluppatasi dopo la caduta del Muro di Berlino. Quest’ultima chiave interpretativa apre la porta esplicativa migliore, perché pone un nesso causale tra la mancata percezione della crisi del sistema politico-istituzionale, la rivolta dei poteri forti, l’iniziativa politica della Magistratura.

In effetti, la parabola di Craxi si era piegata verso il basso prima della caduta del Muro di Berlino, prima della fondazione ufficiale della Lega Nord (8-10 febbraio 1991), prima di Mani Pulite. Il 14 gennaio del 1988 Mario Segni aveva presentato il “Manifesto dei 31”, firmato da esponenti del mondo dell’economia, del sindacalismo, della cultura – tra loro Carlo Bo, Umberto Agnelli, Rita Levi Montalcini, Giuseppe Tamburrano, Antonio Zichichi … – che chiedeva l’introduzione di una legge elettorale uninominale a doppio turno ispirata al modello francese. Il 22 aprile 1988 nacque il “Movimento per la Riforma elettorale”, con l’adesione di 130 personalità, di cui metà parlamentari, che incominciò a raccogliere firme per un’iniziativa di legge popolare, poi deviata in iniziativa referendaria. Tra il febbraio e l’aprile del 1990 furono presentate tre proposte di referendum (per modificare in senso uninominale la legge elettorale del Senato, per eliminare la preferenza plurima, per estendere il sistema maggioritario a tutti i Comuni, finora riservato a quelli sotto i 5.000 abitanti). Bettino Craxi vi si oppose da subito, ruvidamente.

Il 2 agosto furono depositate in Cassazione circa 600.000 firme per ogni quesito. Le proposte referendarie incontrarono una fortissima ostilità da parte della Dc, segretario Arnaldo Forlani, del PSI di Craxi, del PRI. Il 17 gennaio 1991 il governo pentapartito, presieduto da Andreotti, ricorse alla Corte costituzionale, la quale bocciò la prima e la terza proposta, lasciando in piedi solo quella dell’eliminazione della preferenza plurima. Il referendum fu convocato per il 9 giugno. Bettino Craxi invitò gli Italiani “ad andare al mare”, ma degli oltre 47 milioni di aventi diritto andarono alle urne oltre 29 milioni: quasi 27 milioni votarono SI. Fu per Craxi l’inizio della fine.

La casta è esistita davvero

L’attuale contestazione liberal-democratica dell’ideologia populista e grillina della Casta non deve far dimenticare che “la Casta” è esistita per davvero. Fu Enrico Berlinguer a stabilire l’equazione “sistema dei partiti=Palazzo” nell’intervista a Scalfari del 28 luglio 1981. Si trattò di un violento attacco al sistema dei partiti. In particolare al PSI di Craxi, accusato di mutazione genetica e di essere un pericolo per la democrazia. La descrizione del sistema dei partiti soffriva di due gravi difetti: il primo era che il PCI si autoassolveva, perché si autocollocava fuori dal “palazzo”; il secondo che la via d’uscita era l’etica – “il governo degli onesti” – non la riforma politico-istituzionale.

Su questa aveva invece puntato Craxi con la proposta della “Grande riforma” uscita dalla Conferenza di Rimini del 3 aprile 1982. Inquietudini analoghe e progetti minoritari percorrevano anche la Democrazia cristiana, sul cui futuro pesava la profezia infausta di Moro, contenuta nelle sue Lettere dalla prigionia delle BR: “il mio sangue ricadrà su di loro”. E, tuttavia, nel corso degli anni ’80 apparve chiaro ai cittadini e persino ai militanti dei partiti – che incominciarono a calare – che il sistema partitico era bloccato.

I governi si succedevano ai governi, ma intanto il debito pubblico cresceva: nel 1980 era appena sotto il 60%, dieci anni dopo era arrivato al 100% del Pil. Il Paese stava andando ad arenarsi. L’Italia era (s)governata e i partiti non si accorgevano che si stava gonfiando un’opinione pubblica sempre più esigente e impaziente, che stava togliendo legittimazione etico-politica alla rappresentanza e alla delega. Al cospetto del referendum del 1991, mentre la DC apparve prudente e divisa, mentre il PCI-PDS e parte del PLI si dichiararono favorevoli, Craxi, che pure nel 1978 aveva sostenuto coraggiosamente contro i partiti maggiori la necessità della trattativa per liberare Moro, questa volta si assunse il ruolo improvvido e non richiesto di conservatore. Che la Repubblica italiana – che era stata attraversata dalla cortina di ferro politico-ideologica fin dal 1948, che nel 1978 aveva sacrificato Moro sull’altare di una difesa del sistema politico così com’era –  dovesse essere travolta dalle macerie del Muro era prevedibile e storicamente fatale. La sorpresa accecò l’intero arco costituzionale, che non percepì né le implicazioni internazionali né quelle politico-istituzionali dell’evento del 9 novembre 1989.

Dalla tragedia di Craxi alla farsa di oggi

Nella crisi catastrofica del sistema dei partiti, la Magistratura da “ordine” si trasformò in “potere” politico.  Dal 1992 Andreotti, Forlani, Craxi, La Malfa, Pietro Longo, Renato Altissimo e l’area migliorista del PCI-PDS finirono tutti davanti alla sbarra di Mani Pulite. Solo Silvio Berlusconi afferrò rapidamente il nuovo quadro. Dopo il referendum del 9 giugno 1991 e quello del 9 aprile 1993 –  che aveva ripreso la prima proposta referendaria del 1991, piegando in senso maggioritario l’elezione del Senato, con 28 milioni di SI’ – il Cavaliere precipitò sul sistema come il meteorite che ha cancellato dalla Terra i dinosauri. Considerato un alieno dal sistema dei partiti, fu protagonista della costruzione di un nuovo sistema politico, oltrepassando lo storico arco costituzionale. La Magistratura lo aggredì subito.

La scoperta del finanziamento illegale dei partiti non è stata, pertanto, la causa prima della tragedia di Craxi, per la semplice ragione che non si trattò di una scoperta: tutti, elettori ed eletti, sapevano almeno dagli anni ’50 come funzionavano le cose per tutti i partiti, nessuno escluso. Bettino è stato vittima, come tutti gli altri, di cecità conservatrice: non essendo stati capaci i partiti di una riforma del sistema politico-istituzionale, del sistema elettorale e dei partiti stessi, all’opinione pubblica è rimasta da percorrere l’illusoria strada etico-giustizialista, già proposta da Enrico Berlinguer. Il M5S del secondo decennio del 2000 è stato l’esito coerente e finale di questa storia. Il guaio è che la fine dell’illusione etico-giustizialista ci riporta, proprio in questi giorni, al sistema elettorale proporzionale, con la ripartenza del gioco dell’oca della Prima repubblica. Dalla tragedia craxiana alla farsa.