Il sinodo sull’Amazzonia, il dibattito sul celibato dei preti, la Chiesa europea in gravissima crisi

Foto: Papa Ratzinger con il cardinal Sarah

Le ragioni del Sinodo

L’uscita del libro sul tema del celibato ecclesiastico intitolato “Des profondeurs de nos coeurs”, editore Fayard, a firma di Benedetto XVI – ora ritirata – e del Card. Sarah, è solo l’ultimo episodio della guerriglia in corso nella Chiesa tra innovatori e conservatori.

Ciò che ha reso l’operazione editoriale mass-mediaticamente dirompente è la firma del tutto irrituale di Benedetto XVI. Come è stato fatto notare, quando Joseph Ratzinger era Papa, firmava i propri interventi ex-cathedra come Benedetto XVI, mentre per quelli non magisteriali usava il proprio cognome; ora che non è più Papa, si firma invece come Benedetto XVI. Un’anomalia, non c’è dubbio! Il casus belli è stato il sinodo sull’Amazzonia, tenuto in Vaticano dal 6 ottobre al 27 ottobre 2019. Tema dei lavori: “Amazzonia: Nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. L’obiettivo principale è stato quello di “individuare nuovi cammini per far crescere il volto amazzonico della Chiesa e anche per rispondere alle situazioni di ingiustizia della regione”.

La questione del celibato dei preti è stata posta, indirettamente, in relazione alla esigenze dell’evangelizzazione in un territorio straordinariamente esteso, con una popolazione dispersa in piccole comunità, la cui cura religiosa ricade ormai sulle spalle di pochi presbiteri sempre più anziani. Il 26 ottobre 2019 hanno votato SI al paragrafo 111 – che prevede l’ordinazione sacerdotale di “viri probati” – 128 Padri sinodali, hanno votato NO 41 padri sinodali. Tra il voto del Sinodo e la decisione papale, che deve ancora arrivare, si è inserita l’operazione editoriale, con contributi di Ratzinger su “Il sacerdozio cattolico” e del Card. Sarah “Amare fino alla fine. Sguardo ecclesiologico e pastorale sul celibato sacerdotale”.

Le cifre impressionanti della crisi del cristianesimo in Europa

La battaglia sui “preti uxorati” previsti oggi per l’Amazzonia, ma domani, chissà, anche per l’intera Chiesa universale – del resto in questa direzione muove la Conferenza episcopale tedesca, guidata dal Card. Reinhard Marx – si svolge all’interno della tensione in atto tra globalisti e eurocentrici, che trova una condensazione biografica e una drammatizzazione nei “due Papi”, Francesco e Benedetto.

Gli “eurocentrici” sono fortemente preoccupati del destino del Cristianesimo in Europa. Ne hanno, d’altra parte, ben donde. Proprio su questo settimanale Giulio Brotti ha riportato i dati forniti dallo storico francese Guillaume Cuchet, in un volume intitolato Comment notre monde a cessé d’être chrétien del 2018, a proposito della situazione del cattolicesimo in Francia: solo il 30-35% dei nuovi nati oggi viene battezzato, mentre la pratica domenicale della Messa si aggira attorno al 2%. Tra i giovani europei dai 16 ai 29 anni prevale ormai il gruppo dei nones (da no religion), che non aderiscono più a nessuna fede religiosa, con punte del 75% in Svezia, dell’80% in Estonia e del 91% in Repubblica Ceca. Solo il 26% dei giovani francesi e il 21% di quelli britannici si professa cristiano.

Così in Belgio, nel 2016 sono stati ordinati solo 3 preti e solo 5 nel 2019. Una ricerca condotta in Germania dall’Università di Friburgo, in collaborazione con la Chiesa evangelica tedesca e con la Conferenza episcopale tedesca prevede che le due Chiese nei prossimi quarant’anni perderanno 20 milioni di fedeli. Vero è che su scala mondiale i numeri vanno meglio. Vaticannews.va ha segnalato che tra il 2010 e il 2017 la popolazione cattolica mondiale è aumentata del 9,8%. I maggiori tassi di crescita si sono registrati – nell’ordine – in Africa, in Asia e in Oceania. Ma questa crescita finisce paradossalmente per angosciare ancor di più gli eurocentrici, poiché è evidente che le categorie filosofico-teologiche ebraiche e greo-classiche non sono facilmente utilizzabili in quei continenti.

Sacerdozio battesimale e sacerdozio gerarchico

Lo scontro clamoroso sul celibato ecclesiastico nasce dentro questo quadro. Rispetto ad una Chiesa universale che sta spostando il suo asse demografico e, alla lunga, culturale, fuori dall’Europa e che, rispetto alle trasformazioni socio-economiche ed antropologiche del secolo XXI, prospetta – è il caso di quella tedesca, ma non solo – l’abolizione del celibato dei preti, il sacerdozio delle donne e l’accettazione dell’omosessualità, una parte di questa Chiesa sente tremare il terreno sotto i piedi.

Il confronto sulla concezione del sacerdozio diventa un passaggio cruciale. L’affermazione che esista una corrispondenza ontologica – perciò non principalmente storica – tra sacerdozio e celibato è volta a tenere ben solida la struttura gerarchica della Chiesa, di cui i sacerdoti sono i gangli decisivi. Non basta agli eurocentrici il richiamo al fatto che il celibato è stato normato, indirettamente, soltanto dalla Sessione XXIII del 15 luglio 1563 del Concilio di Trento e dalla Sessione XXIV dell’11 novembre 1563. Indirettamente: perché stabilisce la nullità del matrimonio per coloro che sono stati ordinati “in sacris”. Proibisce, insomma, la clerogamia.

E che le Chiese orientali si avvalgono di preti sposati e che preti e vescovi anglicani sposati sono stati accolti proprio da Ratzinger nella Chiesa cattolica, senza perdere il loro ruolo ecclesiale. Conta l’ontologia, non la storia. Scrive Ratzinger: “L’atto cultuale passa ormai attraverso un’offerta della totalità della propria vita nell’amore. Il sacerdozio di Gesù Cristo ci fa entrare in una vita che consiste nel diventare uno con lui e nel rinunciare a tutto ciò che appartiene solo a noi. Per i sacerdoti questo è il fondamento della necessità del celibato, come anche della preghiera liturgica, della meditazione della Parola di Dio e della rinuncia ai beni materiali”.

Gli è stato obbiettato che questa è la descrizione del “sacerdozio battesimale”, condizione di tutti i fedeli, ai quali non è certo richiesto il celibato, pena la loro scomparsa demografica. In realtà, il sacerdozio unico e vero per Ratzinger non è quello della “comunità ecclesiale”, come da Lumen Gentium, ma quello del sacerdozio gerarchico, come da Concilio di Trento: “Se qualcuno afferma che tutti i cristiani, senza distinzione, sono sacerdoti del nuovo Testamento, o che tutti godono fra di essi di uno stesso potere spirituale, allora costui non sembra far altro che sconvolgere la gerarchia ecclesiastica, che è come un esercito schierato a battaglia ; proprio come se, diversamente da quanto insegna il beato Paolo  fossero tutti apostoli, tutti profeti, tutti evangelisti, tutti pastori, tutti dottori”( Sessione del 15 luglio 1563).

L’atto cultuale autentico, quello dell’Eucarestia, è soltanto quello dei preti.

Tornano fuori qui i temi della Riforma protestante, con la quale Ratzinger e Sarah non intendono fare i conti, essendo decisamente retro-allineati con il Concilio di Trento: La Riforma protestante nelle sue varie diramazioni – radicale al riguardo il Presbiterianesimo scozzese – aveva affermato con forza il sacerdozio di ogni cristiano, in quanto battezzato, mentre quello gerarchico si distingueva solo per rappresentanza funzionale e per specifica professionalità rituale.

Nello schema ecclesiastico cattolico, i preti veri e propri sono solo quelli inseriti, mediante il sacramento dell’Ordine, nella gerarchia. Schema che il Concilio Vaticano II, pur mantendo il celibato sacerdotale, ha incominciato a superare.