Giornata della Memoria. Massimo Finzi: per contrastare l’odio dobbiamo combattere l’ignoranza

“La Memoria è quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro: ecco perché è necessario fare memoria del passato, perché quel passato non debba mai più ritornare”. Era questa la frase che Pietro Terracina ripeteva spesso, lui che nella sua seconda vita, sfuggito al rastrellamento del ghetto di Roma nell’ottobre del 1943, arrestato nel ‘44, era stato l’unico della sua famiglia a tornare vivo dal campo di sterminio di Auschwitz.
Piero Terracina è morto lo scorso 8 dicembre, all’età di 91 anni, lasciando un testamento morale enorme: il dovere della Memoria, da tramandare di generazione in generazione, giacché Terracina ha trascorso la vita nelle scuole, in giro per l’Italia, a seminare memoria tra i giovani, che aveva scelto anche di accompagnare ad Auschwitz, un luogo da lui definito inferno. “All’Inferno ci sono stato, si chiama Auschwitz-Birkenau”.
E fu proprio il 27 gennaio 1945 che i carri armati dell’esercito sovietico sfondarono i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Anche quest’anno, 27 gennaio 2020, si celebra la Giornata della Memoria per ricordare le vittime dell’Olocausto rinchiuse e uccise nei campi di sterminio nazisti, prima e durante la II Guerra mondiale.
Sul valore della Giornata della Memoria, delle testimonianze di Piero Terracina e della senatrice a vita Liliana Segre, del pericolo dei rigurgiti fascisti e nazisti in Italia e in Europa, abbiamo dialogato con Massimo Finzi, Assessore alla Memoria della Comunità ebraica di Roma.
Dottor Finzi, il 53° Rapporto Censis 2019 ha rilevato che negli ultimi tempi sembra essere montata una pericolosa deriva verso l’odio, l’intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze. Il 69,8% degli italiani è convinto che nell’ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Sembra essere tornato anche l’odio verso gli ebrei: un cittadino europeo su due considera l’antisemitismo un problema nel proprio Paese. In Italia a pensarla così è il 58% della popolazione. Siamo diventati razzisti o in fondo un po’ lo siamo sempre stati?
«L’antisemitismo è antico di due millenni. Si manifesta man mano che il cristianesimo si afferma come religione di stato. Solo nel 1961 con la dichiarazione “Nostra Aetate” di Giovanni XXIII, uno dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, cade l’accusa storicamente falsa di deicidio. False tutte le altre accuse: da San Simonino, alle ostie confezionate con il sangue umano, ai sacrifici rituali, ai pozzi avvelenati ecc… Intanto la predicazione in chiave antiebraica profusa capillarmente in ogni luogo di preghiera è durata millenni. Se invece ci riferiamo al “razzismo scientifico” (più propriamente pseudo-scientifico) allora bisogna ripercorrere le tappe che nel XIX secolo, partendo dal Darwinismo e dal positivismo, attraverso l’antropologia, la medicina, la criminologia, la biologia, la genetica e la sociologia hanno portato alla nascita dell’eugenetica e alla errata convinzione dell’esistenza di razze inferiori e superiori. Alla domanda “siamo diventati razzisti…” rispondo ebraicamente con un’altra domanda: “Siamo razzisti o xenofobi?”, perché xenofobo non significa ostilità verso lo straniero ma paura dello straniero».
Anche lo stesso Papa Francesco nota rigurgiti nazisti: «Occorre “vigilare” sulla “cultura dell’odio” che vede il riapparire di simboli nazisti», ha detto Bergoglio nell’incontro con i penalisti del novembre 2019. Che cosa ne pensa?
«In realtà Papa Bergoglio, nell’incontro con i penalisti, ha fatto un discorso a 360 gradi: il monito del Papa è rivolto non solo alla cultura dell’odio e al riapparire dei simboli nazisti ma alle situazioni economiche e sociali che tali espressioni favoriscono come ad esempio il principio della massimizzazione del profitto che non considera le ricadute sulle persone, sull’ambiente. Il concetto di “armonia e concordia tra le genti” che traspare dalle parole di Papa Bergoglio è l’esatto opposto della cultura dell’odio e della morte espresse dal nazismo».
Lo scorso novembre il consiglio comunale di Dresda, in Germania, ha decretato ufficialmente lo “stato d’emergenza per il nazismo”. Novità assoluta e inquietante, scelta drastica e simbolica di quella città decantata un tempo come la “Firenze sull’Elba” per i suoi tanti musei, le collezioni d’arte e i monumenti storici, ora associata alle tante devianze di estrema destra?
«A Dresda riappaiono i fantasmi del passato: il bombardamento a tappeto da parte degli alleati che rase al suolo l’intera città è stato vissuto dai cittadini come il tentativo di distruzione dell’identità tedesca, la riunificazione ha prodotto l’esodo di tanti lavoratori verso la ricca parte occidentale della Germania, la presenza di un largo numero di islamici difficili da integrare rende difficile la pacifica convivenza».
Un orologio digitale in una piazza di Teheran nota come Piazza Palestina non indica l’ora, ma conta i giorni che mancano alla distruzione di Israele, fissata per il 2040, nell’indifferenza non solo del mondo ma anche delle Nazioni Unite. Ci lascia un Suo parere al riguardo?
«“Pecunia non olet” e in nome degli affari e del petrolio si finge di non vedere che l’Iran si prepara a far sparire i 6 milioni di ebrei di Israele, pareggiando così per mano musulmana il conto di quelli trucidati dai nazisti. All’Assemblea generale dell’ONU ormai la quasi maggioranza delle nazioni musulmane vota pregiudizialmente contro Israele, la maggioranza di quelle arabe non solo non riconosce lo stato di Israele ma, cosa peggiore, ne nega il diritto all’esistenza».
“Testimone instancabile della memoria della Shoah”, così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato Piero Terracina. Ora ricordare Auschwitz definito “il male assoluto” dal Presidente della Repubblica Italiana, diventa più difficile?
«Diventa più difficile se non raccogliamo il testimone, cioè se vanifichiamo l’impegno di Piero Terracina a testimoniare. Il 17 novembre 2019 ero con lui a Deruta, in provincia di Perugia, per la consegna della cittadinanza onoraria conferita dal comune umbro a Terracina appena dieci giorni prima della sua scomparsa e anche in quella occasione non si è risparmiato. Chi ha avuto la possibilità di ascoltarlo, se davvero vuole onorare la sua memoria, deve diventare a sua volta un testimone».
Liliana Segre, 89 anni senatrice a vita, sopravvissuta ad Auschwitz è costretta alla protezione dalle minacce, soprattutto on line, ed è sotto scorta. Perché la memoria, che dovrebbe essere la nostra ricchezza e la nostra difesa, paradossalmente diventa un bersaglio da insultare e infangare da questi “anonimi da tastiera”?
«La memoria, per resistere, deve avere salde radici nella conoscenza dei fatti soprattutto storici. Dilaga invece superficialità e ignoranza che porta a fenomeni di revisionismo, di negazionismo. Paradossalmente assistiamo anche al capovolgimento di valori perfino da parte di enti che invece dovrebbero custodirli gelosamente. Un esempio? Le manifestazioni dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) nel giorno in cui si celebra la liberazione dell’Italia dal nazifascismo il 25 aprile: si accoglie la bandiera palestinese mentre viene insultata la brigata ebraica. Si ignora o si dimentica o si finge di dimenticare che durante la II Guerra Mondiale partirono dalla Palestina, allora sotto mandato britannico, due formazioni militari: la brigata palestinese araba alleata di Hitler e la brigata palestinese ebraica confluita nell’8^ Armata alleata. I morti della brigata palestinese ebraica, che ha lottato per liberare l’Italia dal nazifascismo, riposano nel cimitero di Piangipane a Ravenna. Oggi l’ANPI confonde e inverte i ruoli: accetta gli eredi diretti dei carnefici e offende i discendenti delle vittime».
Che cosa più Le è rimasto impresso nella memoria della storica visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore, nel quartiere ebraico di Roma, nel gennaio del 2016?
«All’arrivo e al termine dell’incontro Papa Francesco ha salutato con la classica forma ebraica “Shalom aleichem”, (“La pace sia con voi”). Prima di entrare nel portone principale il Papa ha voluto rendere omaggio al luogo della razzia del 16 ottobre 1943, ha percorso a piedi via Catalana per avere un contatto diretto con la popolazione ebraica, si è fermato davanti alla lapide di Stefano Tachè (il bambino ucciso durante l’attentato terroristico palestinese del 1982). Accorato l’appello di Bergoglio: “Tutti quanti apparteniamo ad una unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo”».