La storia del compositore Aldo Finzi: la musica come rivincita contro l’odio e l’orrore

Ne «Il nostro sigillo», celebre racconto di Primo Levi, l’ex farmacista berlinese Wolf, detenuto, in quanto ebreo, presso il campo di concentramento di Auschwitz, intrattiene e incanta gli altri prigionieri con la propria musica, che permette, a lui e a coloro che l’ascoltano, di proiettarsi «al di là del filo spinato, al di là del pallido cielo polacco». Un’esperienza estetica e creativa, quella musicale, che diventa, quindi, anche solo per un instante, salvifica, capace di sovrastare, con la sua forza, pure odio e morte. È la stessa forza che, in vita, ha animato Aldo Finzi, celebre compositore di origine ebraica a cui, negli anni Trenta, causa leggi razziali fasciste, venne precluso di eseguire le proprie musiche. Una forza che, da forma di resistenza, ha saputo mutare in rivincita sull’oblio. «Mio nonno nacque a Milano, nel 1897 – racconta Aldo Massimo Finzi, avvocato milanese e nipote del musicista –, compiuti gli studi classici al liceo Parini, si laureò in Giurisprudenza all’Università di Pavia, mentre, nel contempo, si diplomò, da privatista, in composizione, presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma». Per Aldo Finzi, fu l’inizio di una carriera in ascesa che lo portò a produrre una gran quantità di liriche, musiche da camera, sinfonie, opere comiche e drammatiche. Nel catalogo Ricordi del 1931, fra le sue tante composizioni, si trovano «Il chiostro» (per voci femminili e orchestra), i poemi sinfonici «Cirano di Bergerac» e «Inni alla notte», una «Sonata per violino e piano» e un «Quartetto per archi». Opere molto apprezzate dalla critica del tempo e che, all’epoca, vennero eseguite nei più prestigiosi teatri d’Italia, per mano di importanti direttori d’orchestra, come, per esempio, Vittorio Gui. Il successo si interruppe, però, nel 1937. «Nel 1937, venne bandito dalla Scala un concorso per un’opera nuova, che si sarebbe dovuta eseguire nella stagione successiva – spiega Aldo Massimo Finzi –, mio nonno vi partecipò con la “Serenata al vento”. Fra i membri della commissione giudicatrice c’era Pick Mangiagalli, che, confidenzialmente, gli disse che aveva vinto il concorso. Ma l’annuncio ufficiale, atteso per la primavera del 1938, non arrivò mai. Un cambio di rotta dato da un veto governativo, che anticipava l’imminenza della campagna razziale in Italia». Lo sconforto fu immenso e se, fino a quegli anni, le composizioni di Finzi furono estremamente gioiose, dal 1938 in poi, i temi si incupirono: «Nel 1942, compose “Shylock”, opera drammatica, ispirata da “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare, su libretto di Rossato – spiega il nipote del compositore –. Soltanto il primo atto venne musicato. Nonostante vedersi togliere, senza alcun motivo valido, il traguardo tanto agognato fosse stato per lui terribile, il nonno non smise mai di comporre: lui, del resto, viveva di musica e, anche se censura e esclusione furono un colpo duro da digerire, la sua vena artistica non si inaridì, né, tanto meno, si esaurì. Per vivere, si dovette accontentare, però, di lavorare anonimamente o sotto pseudonimo: sua è la traduzione ritmica delle “Beatitudini” di César Franck in italiano, traduzione che corre sotto altro nome». Un escamotage, quello dell’anonimia, che non lo salvaguardò, comunque, dalla violenza delle SS: «Poco prima della metà degli anni Quaranta, il nonno si rifugiò a Torino – racconta Finzi –. Una denuncia fece sì che le SS si recassero nel suo alloggio, ma, nel momento in cui le truppe arrivarono, in casa c’era solo mio padre. Per evitarne la cattura, mio nonno si consegnò spontaneamente alle SS, che, fortunatamente, scoprì essere facilmente corruttibili: quel giorno, si portarono via tutto, pure la fede nuziale della nonna. Fu da quell’episodio che nacque il desiderio di ringraziare il Signore, dando vita al “Salmo per coro e orchestra”. Quest’opera, assieme allo “Shylock”, è considerata uno dei più bei pezzi del nonno». Aldo Finzi morì il 7 febbraio 1945: sepolto sotto falso nome, la moglie dovette attendere il Dopoguerra e l’abrogazione delle leggi razziali prima di potere redigere un documento che le permettesse di riportare i resti mortali del marito al famedio del Cimitero monumentale di Milano. È solo da qualche decennio, però, che l’importanza artistica della sua figura musicale è stata, definitivamente, riportata alla luce. «Non ho avuto la fortuna di conoscere mio nonno e, a dire il vero, in famiglia c’è sempre stata un po’ di reticenza a rispolverare la sua storia e ad affrontare certi argomenti e certo passato – spiega Finzi –. Quando, però, il noto direttore d’orchestra Gian Paolo Sanzogno e una docente del conservatorio Verdi di Milano, Simonetta Heger, giudicarono bellissime le composizioni del nonno, decisi che le sue opere dovevano essere riscoperte. Fu anche grazie a loro che, in 30 anni, sono riuscito a far sì che le sue musiche tornassero a risuonare nel mondo». Il primo dicembre 2012, per la prima volta al mondo, viene eseguita al Teatro Gaetano Donizetti di Bergamo, l’opera “La serenata al vento”. Tre anni fa, a dicembre, il concerto alla Carnegie Hall di New York, seguito da quello del novembre 2018, al quale partecipò come guest star anche Plácido Domingo. «I concerti negli Stati Uniti hanno raccolto grandi standing ovation – afferma Finzi –, ma non è tutto: due anni fa, la rivista “America Oggi” ha riportato in copertina la foto di mio nonno con la didascalia “Lo Strauss italiano”, mentre, l’anno scorso, la stagione della Verdi è stata inaugurata proprio con un suo poema sinfonico. Le sue composizioni, ormai, viaggiano dall’Europa al continente americano, fino all’Asia: una bella rivalsa a scapito di chi nel ’38 ha voluto soffocare, da un punto di vista umano e artistico, la sua figura, condannandola al dimenticatoio». Oggi, l’associazione Accademia Finzi, che ha sede presso il teatro Il Maggiore di Verbania, si impegna, sotto l’egida della società Ace e dell’agenzia Wec, a far conoscere la figura e la musica del grande compositore negli istituti musicali d’Italia e del mondo. Proprio negli ultimi giorni dello scorso dicembre,  presso Il Maggiore, ci sono state le audizioni volte alla messa in scena dello “Shylock”: un’idea, quella di portar in scena quest’opera, che nasce in collaborazione con il Festival ungherese di Miskolc e con il Teatro di Białystok e che conta nel comitato scientifico Andrée Ruth Shammah. La giuria, composta, fra gli altri, da Mauro Trombetta, Maria Teresa Mascagni e Katia Ricciarelli, ha già selezionato le voci. «Le musiche del nonno incominciano a diffondersi nelle scuole – riflette Finzi –, è quel che mancava, è la rivincita migliore, che dimostra come l’arte sia invincibile: nemmeno le leggi razziali e 80 anni di oblio hanno cancellato le composizioni di mio nonno e, quindi, la sua memoria. La bellezza, alla fine, ha vinto sull’odio e sulla morte».