Verso l’alt(r)o, la meditazione della settimana. Ogni giorno serve un po’ di “deserto”

La rubrica “Verso l’alt(r)o” offre ogni settimana, ogni venerdì, alcuni spunti di meditazione, preparati per noi da un gruppo di giovani collaboratori dell’Ufficio diocesano Tempi dello spirito. Buona lettura.

“Com’è stata la tua giornata?”
“Sveglia (che suona anche due o tre volte); una colazione al volo mentre mi vesto; corro al lavoro sempre nel traffico. Mi siedo e parlo con la gente o sento gente parlare, rispondo al telefono e c’è chi si lamenta. Pranzo al ristorante affollato. Ritorno in ufficio e poi a casa. Faccio le mie commissioni al supermercato. Preparo la cena accendo la tv infine vado a letto”.

“E il giorno dopo?”

“Ricomincio da capo”.

Questo è il riassunto di una giornata di un mio amico, durante una nostra conversazione.

“La solita tiritera”, come si suol dire, ma questo mi ha fatto chiedere, ma quando pensi? Quando stai con te stesso?

La risposta: “Ma che domande fai, sto sempre con me stesso”.

Ma la mia domanda è più profonda, e lo incalzo: “Mi riferisco a quando stai con i tuoi pensieri, quando ti ascolti, quando metti sul tavolo la tua giornata, mese o vita intera e ripensi a cosa stai facendo. Quando stai in silenzio?”

Segue un breve silenzio di imbarazzo e pensieri, poi la risposta “Non lo so. Credo mai”.

 

Spesso siamo fin troppo presi dai soliti ritmi frenetici, dalle cose che “dobbiamo fare”, scritte sulle nostre liste che non riusciamo mai a terminare.

Ma non hai mai scritto di dover fare silenzio?

Non stare in silenzio, ma FARE il silenzio! Crearselo vuol dire isolarsi per quel che si può e farsi travolgere da tutti i dubbi e domande che ci circolano in testa.

Il silenzio non è facile. È molto faticoso e impegnativo. Si cominciano a sentire tutti i rumori doppiamente più forte, il ticchettio dell’orologio, lo scricchiolare delle porte, il brusio della strada fuori della finestra.

Stare in silenzio vuol dire lasciar correre i propri pensieri, sorpassare la lista delle cose da fare e arrivare al perché ti ha spinto a farle. Vuol dire dare una spiegazione a sé stessi del perché ti sei alzato stamattina, ha spento quella maledetta sveglia e vissuto questa giornata.

La cosa più bella di tutto questo è capire cosa hai vissuto. Comprendere le tue emozioni, perché tra tutte le cose che facciamo non ci fermiamo mai a pensare che cosa proviamo. Non vi chiedete mai quali emozioni avete sentito o subito dagli altri? Del perché vi siete così arrabbiati con vostro figlio o il vostro collega, perché siete arrossiti di fronte a quel cameriere, perché avete sorriso a un messaggio o all’affermazione di un amico.

Una ragazza qualche giorno fa, durante il corso centrale per animatori, mi ha risposto che non vuole farlo perché il silenzio per lei può diventare assordante. Silenzio assordante: non è altro che un ossimoro.

Come può essere disturbante il silenzio? Come può un momento così intimo e personale diventare fastidioso? Qual è la soluzione?  Io non posso avere la risposta per tutti, ma credo, per me, che possa diventarlo quando fatico a prendermi cura di me stesso, dei miei desideri, dei miei sbagli, dei miei fallimenti, delle mie emozioni. La miglior cura è affidare i nostri momenti di silenzio a qualcuno e condividere con lui le nostre perplessità. Affidargli i nostri sbagli e chiedergli un aiuto. Pregare per sé stessi e per chi abbiamo incontrato o incontreremo domani. Pregare per i nostri sentimenti e per quelle degli altri.

Non è facile, ma la vale la pena di provare.