Sulla via Emilia

Foto: Stefano Bonaccini

L’inversione della rappresentanza politica

Diradatosi temporaneamente lo smog elettorale di gennaio, il paesaggio socio-culturale si presenta alla comprensione politica più nitido di prima. Ciò che emerge è che la società emiliano-romagnola è… complessa! Ma va!!! In effetti, rispetto all’accesso a beni, servizi, opportunità offerti dallo Stato e dal mercato, si vedono differenze e ineguaglianze tra la metropoli e le province, tra le città-capoluogo e i paesi, tra i centri urbani e il contado, tra la pianura e la montagna, tra i centri e le periferie, tra gli istruiti e meno istruiti, tra gli occupati e disoccupati, tra i giovani e anziani, tra gli indigeni e gli immigrati: un’articolazione sociale tipica di tutto l’Occidente.

La novità riguarda la rappresentazione politica di tale complessità. Per quanto concerne la parte italiana dell’Occidente, una volta vi funzionava una “reductio ad duo”: da una parte l’anti-comunismo/a-comunismo, dall’altra il pro-comunismo e il pre-comunismo. Erano due bacini robusti, catafratti da categorie ideologiche, ma, soprattutto, geo-politiche. Dopo l’89 si sono sbriciolati, le acque si sono mischiate. Dal 1994, l’anno di Berlusconi, la base sociale della rappresentanza ha incominciato a modificarsi; dopo la crisi del 2007/2008 il mutamento è diventato radicale.

Questo ha prodotto un’inversione a 180 gradi della rappresentanza: la destra ha cessato di essere “il partito dei padroni”, come da vulgata, mentre la sinistra ha cessato di essere “il partito dei lavoratori”, come da vulgata. E’ diventata il partito dei “ricchi”: gli ZTL, i professionisti, i tecnocrati, gli istruiti, i ceti medi riflessivi, i detentori di “capitale umano” e di “capitale semantico” – per quest’ultimo, vedasi alla voce “Sardine”-. Se Berlusconi era riuscito a conquistare il voto dei pensionati, che stavano/stanno inchiodati per ore davanti ai Canali di Mediaset, Salvini e la Meloni attirano ormai il voto degli operai, degli artigiani, dei “provinciali”, del “contado”, delle periferie. Gli “inclusi” votano a sinistra, gli “esclusi”, o autopercepiti tali, “la factio miserorum”, votano a destra.  I “salvati” a sinistra, “i sommersi” o “sommergibili” a destra.

Ciò che gli elettori hanno trovato naturale è causa di scandalo e di traumi intellettuali nella sinistra più tradizionale e/o più radicale, interna o esterna al PD. Quella mutazione genetica che aveva rimproverato a Craxi fin dagli anni ’70, se la trova bell’e realizzata in casa propria. Quella radicale, poi, ha mostrato di essere la più irrilevante rispetto al proprio elettorato “di diritto”. Se la sinistra potesse, farebbe uno scambio di voti con la destra: ridateci i lavoratori in cambio degli ZTL! Non riesce a perdonarsi per questo mutamento, soffre di sensi di colpa, rimpiange la perdita della connessione sentimentale con “i sommergibili”. Poi, si sa, occorre rassegnarsi: dopo tutto, “suffragium non olet”!

La prima conseguenza dell’inversione della rappresentanza è che le “regioni rosse” sono diventate contendibili. Cioè: non ci sono più regioni con colori permanenti. I blocchi tradizionali si sono sbriciolati, soprattutto nei territori più dinamici dal punto di vista della produzione, della cultura, dell’istruzione. Gli elettori scelgono di volta in volta in base all’offerta politico-programmatica che trovano più convincente. Se i partiti vantano – o lamentano di non avere più – una connessione sentimentale con gli elettori, da tempo gli elettori si sono disconnessi unilateralmente. I legami sentimentali sono a tempo breve.

Le due lezioni della via emiliano-romagnola

Perché, dunque, nella contesa emiliano-romagnola, ha ri-vinto Bonaccini? Perché si è presentato nel nome del “buon governo”, sia di quello passato sia di quello futuro. Né più né meno. Al punto che persino quattromila voti leghisti si sono “disgiunti” a suo favore. “Buon governo” significa capacità della Regione, nel confine delle proprie competenze, di offrire servizi di qualità alla persona e di creare condizioni favorevoli alla produzione e al lavoro.

Ne viene, in primo luogo, una lezione di sinistra di governo. Bonaccini ha presentato un’agenda programmatica, che non gli è stata dettata né da Zingaretti né da Repubblica. Ha proposto un Programma fondamentale, centrato sulla Regione come motore di sviluppo e come governo locale della globalizzazione. Ai “sommersi” ha offerto la protezione che consiste nel miglioramento dei servizi, il primo dei quali è quello allo sviluppo e al lavoro. Il riformismo è questo.  Non ci sono scorciatoie: le diseguaglianze e le differenze sono un prodotto strutturale dello sviluppo ineguale a livello mondiale e locale. Si possono/si devono correggere, si possono persino abolire in un punto del sistema, ma per vederle riapparire in un altro, in un processo infinito. Per la sinistra tradizionale “la Società degli Uguali” di Babeuf continua a restare l’ideale regolativo. Eppure, ogni tentativo di realizzarla si è rovesciato nell’opposto di una società totalitaria e diseguale. Più feconda, nell’epoca della globalizzazione l’idea della “Società dei Liberi e Forti” di Sturzo o quello di Roosevelt delle “Quattro libertà”. E’ fondata sul lavoro e sullo sviluppo umano.

La seconda lezione: le urne confermano che il populismo anti-elitista, di marca leghista, e il populismo anti-politico e antipartitico, questa volta astensionista e di marca pentastellata, restano una presenza forte e durevole nel Paese, almeno fino a quando non saranno rimosse le cause che lo hanno generato. La prima delle quali è che la politica “romana” da decenni non è più capace di creare le condizioni per lo sviluppo del Paese: amministra l’esistente, indebita le generazioni future, non risolve problemi, non fa riforme, non governa il Paese. E’ impastoiata in un sistema sociale e culturale corporativo – corporazione (casta?) tra le corporazioni -, in un intrico di mala amministrazione, sindacalismo corporativo, corruzione e illegalità. La poltiglia programmatica del governo Conte, un mix di protezione, assistenzialismo e di debito pubblico, senza politiche del lavoro e dello sviluppo, non porterà lontano né il governo né il Paese.

Ma la “causa causarum” è quest’altra: finché i partiti perpetuano il vecchio modello istituzionale, nel quale essi sono l’Alfa e l’Omega dell’attività politica, blocchi opachi di autocooptazione oligarchica, non resi trasparenti da nessuna legge; nel quale le istituzioni sono partitizzate… , i cittadini continueranno a sentire la politica come attività, estranea, escludente, proprietà privata di un’élite. Se le istituzioni della democrazia liberale non sono capaci di spianare la strada alla partecipazione dei cittadini alle decisioni e al governo del Paese, la crisi della politica è destinata a durare, manifestandosi come “collera degli esclusi” con tendenze di volta in volta al plebiscitarismo, al linciaggio mediatico del politico di turno, all’assenza silenziosa dalla scena pubblica ed elettorale. L’annuncio di voler aprire un partito verso l’esterno, senza aprire la sua scatola nera, continua a restare una fake news. Il ritorno al sistema elettorale proporzionale, con l’ingovernabilità come fatale corollario, renderà ancora più cogenti le motivazioni del populismo. Semmai dovesse profilarsi un nuovo bipolarismo, il sistema proporzionale lo strozzerebbe nella culla.

Così, il Paese continua a camminare sul suo Sunset Boulevard… Si deve solo incessantemente denunciare, a futura memoria, che il declino di un Paese non è una fatalità storica, è una scelta quotidiana dei cittadini e dei loro rappresentanti. Non si danno alibi.